Strasburgo – C’è qualcosa che rimane incomprensibile nelle nuove regole proposte oggi (martedì 14 dicembre) dalla Commissione UE sulla gestione dell’area Schengen e ha come punti focali la libera circolazione tra i 26 Paesi e la gestione dei movimenti secondari di persone migranti.
Nei fatti, l’esecutivo comunitario ha messo sul tavolo la possibilità di reintrodurre controlli di confine tra uno Stato e l’altro, “ma solo in casi eccezionali” e comunque legati a situazioni in cui non esistono alternative percorribili in risposta a minacce sanitarie, di sicurezza e di ordine pubblico. Allo stesso tempo, una nuova procedura permetterà di affrontare di default i “movimenti non autorizzati” con operazioni congiunte di polizia al confine, “per assicurare che quando una persona migrante viene intercettata alla frontiera possa essere riportata indietro”. Sono le testuali parole del vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, nel corso della conferenza stampa di presentazione del pacchetto.
Ma allora la domanda si pone spontanea: com’è possibile fermare, identificare e respingere un migrante irregolare su un confine interno dell’UE senza reintrodurre continuativamente i controlli alla frontiera? O, in altre parole, senza abolire a tutti gli effetti la libertà di circolazione garantita da Schengen? Una risposta forse non c’è, ma quello che è sicuro è che né il vicepresidente Schinas né la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, sono parsi convincenti nell’affrontare le domande dei giornalisti sul rischio che la soluzione possa risiedere in un bias cognitivo (una distorsione della valutazione causata dal pregiudizio) di tipo etnico o economico.
A maggior ragione questo rischio sembra concreto nella misura in cui le nuove regole identificano queste operazioni contro i movimenti secondari come una delle “alternative efficaci” rispetto ai controlli alle frontiere interne“. In questo modo la possibilità di sospendere la libertà di movimento garantita da Schengen può rimanere solo “una misura di ultima istanza per affrontare le sfide emergenti che riguardano la maggioranza degli Stati membri UE”. Secondo il gabinetto von der Leyen i governi nazionali potranno fare “un uso più esteso di verifiche sotto forma di controlli di polizia più numerosi e più operativi nelle regioni di confine“, che potrebbero coinvolgere “qualsiasi altra autorità competente a esercitare poteri pubblici”. E di qui la possibilità – che però appare credibile solo sulla carta – di classificare questi controlli come “non equivalenti a quelli di frontiera”.
È chiaro che a incidere su questa proposta è stato il cosiddetto “attacco ibrido” da parte della Bielorussia e la “strumentalizzazione dei migranti per motivi politici” verso la frontiera esterna dell’Unione, come è stato ripetuto a più riprese da Schinas. La strategia per riformare lo spazio Schengen era già stata presentata dall’esecutivo UE a giugno e non specificava nulla sui movimenti secondari (di cui peraltro non esiste nemmeno una definizione legale).
Ma è anche stato appesantito l’aspetto dell’adozione di controlli di confine all’interno dell’area Schengen e restrizioni di viaggio oltre le frontiere esterne in casi “eccezionali ma prevedibili”, che potranno essere estesi “fino a un periodo massimo di due anni” (a meno che non si tratti di “circostanze molto specifiche”). Dopo il primo anno e mezzo, la Commissione dovrà emettere un parere sulla proporzionalità e necessità delle misure per concedere l’ultima proroga di sei mesi. Secondo le nuove regole fissate dalla proposta del gabinetto von der Leyen, i Paesi membri UE che intendono reintrodurre i controlli interni allo spazio Schengen devono ottenere il via libera del Consiglio e presentare una valutazione d’impatto sulle regioni di confine e identificare misure che attenuino gli impatti negativi dei controlli (come passaggi facilitati per i lavoratori trans-frontalieri e corsie verdi per il transito delle merci essenziali).
Che la questione dell’impatto della migrazione verso l’UE occupi un ruolo centrale nelle nuove regole su Schengen proposte dalla Commissione è dimostrato dal fatto che una seconda proposta ha ribadito le misure temporanee in materia di asilo e rimpatrio (a favore di Polonia, Lituania e Lettonia) avanzate due settimane fa. Queste includono la possibilità per gli Stati membri di “limitare il numero di valichi di frontiera e intensificare la sorveglianza delle frontiere” in una situazione di “strumentalizzazione dei migranti per scopi politici”. Per la commissaria Johansson “era necessario formalizzarle in un quadro che valga per tutti gli Stati membri in situazioni di emergenza”. Sono altre perplessità enormi, questa volta sulla sospensione delle regole di asilo dell’UE, a cui la Commissione Europea non ha saputo replicare in modo convincente, sciogliendo la grande ambiguità mostrata nelle ultime settimane.