Di Caterina Pascarella
In Italia si parla con sempre maggiore frequenza del fenomeno riguardante la cosiddetta “fuga di cervelli”, ossia il fenomeno per cui sempre più giovani, laureati e non, decidono di lasciare il Paese per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita all’estero. Come causa di questo fenomeno si è da sempre indicato il fatto che i giovani non riescano a trovare spazio nella realtà lavorativa italiana, caratterizzata difatti da un alto tasso di disoccupazione giovanile. All’impossibilità o all’alta difficoltà di trovare un lavoro, si aggiungerebbe un secondo fattore negativo riguardante lo stipendio medio.
Durante gli ultimi 30 anni, l’Italia, come riportato dalle statistiche relative alla variazione degli stipendi pubblicata annualmente dall’OCSE, è stata l’unico paese appartenente all’Unione Europea ad aver registrato una variazione del salario medio in negativo: dal 1990 al 2020 vi è stata una riduzione in percentuale pari al 2,9, dato ancora più sconfortante se si considera che in tutti gli altri paesi gli stipendi sono aumentati tra il 6 e il 276 per cento.
Mentre la pandemia che ha colpito il mondo negli ultimi due anni ha inciso negativamente sul trend italiano, provocando un’ulteriore contrazione della variazione del salario medio pari al 6 per cento, essa ha inciso “positivamente” rispetto al fenomeno di migrazione verso gli stati esteri. Il Sole24ore riporta, infatti, che nel 2020, sono stati solamente 112mila gli italiani cancellati dalle anagrafi comunali per espatrio all’estero, circa l’8 per cento in meno rispetto all’anno precedente.
Questo dato, se a prima occhiata può sembrare incoraggiante, mostra, al contrario, che neanche una pandemia mondiale è riuscita a fermare questo flusso e, quindi, che esso, una volta migliorata la situazione, riprenderà, forse addirittura con maggiore forza.
Per parlare di questo fenomeno, abbiamo intervistato Giorgia e Piero S., italiani trasferiti in Svezia da sette anni. Pur essendo partiti poiché a Giorgia era stato offerto un lavoro come ricercatrice, a beneficiare di questo cambiamento è stata tutta la famiglia, tanto che, una volta arrivati e stabiliti a Malmo, hanno deciso di mettere su famiglia grazie alle agevolazioni economiche offerte dallo stato svedese.
“Ci siamo trasferiti poiché l’offerta lavorativa era migliore a livello di vita professionale e a livello retributivo rispetto a quella offerta dall’Italia, ma ciò che ci ha convinto a rimanere in Svezia, anche dopo tutti questi anni, è stata soprattutto la qualità e lo stile della vita”. A ciò, si aggiunge la possibilità di crescita lavorativa che ha permesso a Piero di diventare direttore responsabile di due ristoranti in un tempo molto più breve rispetto a quello lavorato in passato in Italia, dove aveva intrapreso professioni anche molto diverse tra loro cambiandole spesso. “Non mi sarei aspettato tutto ciò considerando la fatica di cercare lavoro in un paese con una lingua totalmente differente e mai studiata prima.” commenta Piero.