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    Home » Net & Tech » L’UE spinge sulla protezione dei diritti dei rider: le piattaforme dovranno dimostrare che non sono lavoratori dipendenti

    L’UE spinge sulla protezione dei diritti dei rider: le piattaforme dovranno dimostrare che non sono lavoratori dipendenti

    Nella direttiva proposta dalla Commissione Europea i lavoratori della gig economy non saranno più considerati autonomi di default e sarà scaricato sulle piattaforme digitali l'obbligo di dimostrare di non essere un datore di lavoro

    Federico Baccini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@federicobaccini" target="_blank">@federicobaccini</a> di Federico Baccini @federicobaccini
    9 Dicembre 2021
    in Net & Tech
    Rider UE riders

    Bruxelles – Non più lavoratori autonomi ma subordinati: saranno le piattaforme digitali a dover dimostrare il contrario. L’UE apre uno spiraglio di luce per i rider, i fattorini addetti alla consegna a domicilio di cibo in bicicletta o motorino che lavorano per società come Deliveroo, Just Eat, Glovo o Uber Eats. La Commissione europea ha proposto oggi (giovedì 9 dicembre) una serie di misure per migliorare le condizioni di lavoro nelle piattaforme digitali, sulla scorta dei risultati della consultazione delle parti sociali aperta a febbraio. Fino a 4 milioni di lavoratori europei potrebbero beneficiare della riclassificazione proposta dalla direttiva, mentre a chi vorrà rimanere autonomo non sarà impedito di farlo e potrà comunque godere di maggiore chiarezza sui meccanismi di assegnazione dei compiti.

    Dombrovskis Schmit Rider UE
    Il vicepresidente della Commissione UE per l’Economia, Valdis Dombrovskis, e il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicols Schmit (9 dicembre 2021)

    La Commissione stima che sono più di 28 milioni le persone che lavorano attraverso piattaforme digitali nell’UE – numero che dovrebbe raggiungere i 43 milioni entro il 2025 – ma più della metà (55 per cento) dei rider guadagna meno del salario minimo orario del Paese in cui lavorano. Tutto ciò mentre questa economia ha raggiunto ricavi pari a 20 miliardi di euro nell’Unione Europea. Le oltre 500 piattaforme digitali classificano il 90 per cento delle persone che lavorano attraverso la propria intermediazione come autonomi, ma circa 5,5 milioni potrebbero non essere tali. Questa classificazione errata comporta la negazione dei diritti lavorativi e sociali: salario minimo (dove esiste), contrattazione collettiva, orario di lavoro, protezione della salute e contro gli incidenti di lavoro, ferie pagate, disoccupazione, malattia e pensione di vecchiaia.

    Ecco perché il concetto alla base della nuova proposta di direttiva UE è che le piattaforme di lavoro dovranno garantire tutti i diritti che spettano ai rider e agli altri lavoratori che forniscono prestazioni online (codifica di dati, servizi di traduzione), equiparando la loro condizione a quella dei subordinati. Inoltre, dal momento in cui il modello di business su cui si basa l’intermediazione del lavoro è costituito da tecnologie a gestione algoritmica, la proposta va a proteggere i lavoratori sul piano della gestione di questi strumenti, stabilendo condizioni di equità e non sfruttamento per soggetti vulnerabili (che potrebbero avere difficoltà a entrare nel mercato del lavoro), come giovani e persone migranti.

    “Le piattaforme di lavoro digitali svolgono un ruolo importante nella nostra economia, portando innovazione, posti di lavoro e aiutando a soddisfare la domanda dei consumatori”, ha commentato in conferenza stampa il vicepresidente della Commissione UE per l’Economia, Valdis Dombrovskis. “Le persone sono al centro di questo modello di business e hanno diritto a condizioni di lavoro decenti e alla protezione sociale“, ha aggiunto Dombrovskis, sottolineando che lo scopo delle nuove regole “è aumentare la certezza per la crescita delle piattaforme di lavoro digitali e per proteggere i diritti delle persone che ci lavorano”.

    I criteri di controllo della piattaforma di lavoro

    La proposta più consistente presentata dalla Commissione UE a protezione dei lavoratori della gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) riguarda il fatto che non saranno più considerati autonomi di default e che sarà scaricato sulle piattaforme digitali l’obbligo di dimostrare di non essere datori di lavoro. Per fare ciò, la direttiva UE fornisce una lista di criteri di controllo: se la piattaforma ne soddisfa almeno due (su cinque), si presume legalmente che sia un datore di lavoro e che debba garantire tutti i diritti per rider e persone che lavorano in questo circuito, tali e quali a quelli dei subordinati. Le piattaforme avranno il diritto di contestare questa classificazione, ma con l’onere di provare che non esiste un rapporto di lavoro.

    Nicolas Schmit
    Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicols Schmit (9 dicembre 2021)

    Sono cinque i criteri per stabilire il grado di controllo delle piattaforma digitale sui lavoratori. Il primo è se determina il livello di remunerazione o se ne fissa i limiti massimi. Il secondo riguarda la supervisione dell’esecuzione del lavoro attraverso mezzi elettronici. Il terzo coinvolge la limitazione della libertà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare compiti e di utilizzare subappaltatori o sostituti (tutte prerogative naturali di un lavoratore autonomo). Il quarto riguarda la possibilità, per la piattaforma, di stabilire regole specifiche vincolanti su aspetto, comportamento o esecuzione del lavoro. E infine se limita la possibilità di eseguire lavori per terzi o di costruire una base di clienti.

    “Nessuno sta cercando di uccidere, fermare o ostacolare la crescita delle piattaforme”, ha dichiarato con forza il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicols Schmit. “Siamo tutti impegnati nello sviluppo di questa economia, che corrisponde a una domanda nella nostra società, ma questo modello di business deve adattarsi ai nostri standard, compresi quelli sociali“, ha aggiunto il commissario.

    Nel recepire la direttiva entro due anni dall’entrata in vigore, gli Stati membri dovrebbero non solo considerare le indicazioni UE sulla presunzione e la confutazione dello stato di occupazione nei propri procedimenti giuridici e amministrativi nazionali, “ma anche mettere in atto misure che ne favoriscano l’attuazione”, specifica la proposta. Nella pratica, Bruxelles chiede sia di trattare le piattaforme digitali che soddisfano almeno due dei criteri come datori di lavoro, sia di sviluppare una guida pratica, rafforzare i controlli e intensificare le ispezioni da parte dei propri organismi nazionali.

    La gestione algoritmica dei rider nell’UE

    La direttiva proposta dalla Commissione UE mira anche ad aumentare la trasparenza degli algoritmi nella gestione del lavoro dei rider. Nello specifico, viene imposto l’obbligo di mettere a disposizione delle autorità nazionali le informazioni essenziali sulle attività delle piattaforme digitali e sulle persone che lavorano nel circuito, oltre che di dare spiegazioni su come viene utilizzata la gestione algoritmica per l’assegnazione dei compiti, il monitoraggio e la valutazione del lavoro svolto, la fornitura di incentivi o l’imposizione di sanzioni.

    Valdis Dombrovskis
    Il vicepresidente della Commissione UE per l’Economia, Valdis Dombrovskis (9 dicembre 2021)

    La proposta si basa sulla necessità di garantire il diritto dei lavoratori delle piattaforme di essere informati sui sistemi di monitoraggio e decisione automatizzati che sono in uso e su come influenzano le proprie condizioni di lavoro. Sarà poi imposto l’obbligo per le piattaforme di garantire il monitoraggio umano sull’impatto delle decisioni prese o supportate da sistemi automatici, come la paga o l’orario di lavoro.

    Per i rider e gli altri lavoratori delle piattaforme la direttiva UE garantisce la possibilità di contestare le decisioni degli algoritmi: dovranno poter ricevere spiegazioni, avere accesso a un contatto umano, ricevere una risposta entro una settimana e ottenere un risarcimento se la decisione ha violato i propri diritti. Infine, le piattaforme digitali non potranno raccogliere o trattare nessun dato personale che non sia direttamente collegato al lavoro svolto, nemmeno mentre il lavoratore è collegato alla relativa app o sito web.

    Le reazioni

    Immediata la reazione della Confederazione europea dei sindacati. “Questa direttiva fornisce una certezza attesa da tempo per i lavoratori che non dovranno più dover portare una multinazionale in tribunale per avere qualcosa di così basilare come un contratto di lavoro”, ha commentato il segretario confederale, Ludovic Voet. “Il movimento sindacale può essere orgoglioso di aver fatto forti richieste negli ultimi due anni per una presunzione di rapporto di lavoro e l’inversione dell’onere della prova”, ha aggiunto Voet, sottolineando però che “alcune piattaforme hanno avuto successo nella loro attività di lobbying, dal momento in cui la direttiva stabilisce ancora criteri onerosi per attivare la presunzione di occupazione, il che potrebbe vanificarne il senso”.

    Anche dal Parlamento UE c’è soddisfazione per la presentazione della proposta per migliorare le condizioni di lavoro dei rider: “Rappresenta un’opportunità per affrontare il futuro del lavoro e per adattare la legge alle nuove realtà del mondo del lavoro”, ha commentato la relatrice della risoluzione dell’Eurocamera, Sylvie Brunet (Renew Europe). Ora potranno iniziare i negoziati tra i co-legislatori su questa direttiva “con due priorità al centro”, ha specificato Brunet: “La protezione adeguata per i lavoratori delle piattaforme e un quadro europeo che favorisca l’innovazione“.

    Tags: commissione europeadiritti lavoratoridiritti lavoratori piattaformegig economylavoropiattaforme di lavoropiattaforme digitalirider

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