Bruxelles – Ancora troppi dubbi, e Polonia e Ungheria rischiano seriamente di perdere l’accesso ai fondi europei messi a disposizione degli Stati membri attraverso il fondo per la ripresa. I piani di ripresa di Varsavia e Budapest continuano a non essere vidimati dalla Commissione europea, che continua a non sapere dire quando arriverà il via libera. “Dipende da quanto velocemente si registreranno progressi” nei due Paese sulla base di regole e richieste europee, scandisce al termine dei lavori del consiglio Ecofin Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione UE responsabile per un’Economia al servizio delle persone.
Per la Polonia “restano problemi per quanto riguarda il sistema giudiziario”, spiega il lettone. Le riforme della giustizia varate in questi anni avrebbero indebolito troppo l’indipendenza del terzo potere. Inoltre a Bruxelles non si è certi che il sistema polacco sia a prova di frodi. “Vanno protetti gli interessi finanziari dell’Ue”. Tradotto: non c’è un sistema che garantisca che i soldi che dovrebbero arrivare finiscano dove dovrebbero e siano spesi come si deve.
Nel caso ungherese ancora troppi dubbi sul sistema di controllo. Come per le Polonia, si teme che anche le autorità ungheresi abbiano problemi di corruzione, e dunque si continuano a chiedere riforme in questo senso. Innanzitutto perché l’erogazione dei fondi è legata al soddisfacimento delle raccomandazioni specifiche per Paese, che già chiedono all’Ungheria di contrastare la corruzione. In secondo luogo c’è il Parlamento europeo che ha intimato l’esecutivo comunitario di non dare il benestare finché Budapest non darà prova di affidabilità sul corretto utilizzo delle risorse.
La questione è molto sensibile, e lo diventa ogni giorno di più. La Polonia dovrebbe ricevere circa 36 miliardi di euro, l’Ungheria 7,2 miliardi. Una volta che i piani di ripresa sono approvati, si può erogare un pre-finanziamento fino al 13 per cento del totale. Per Varsavia ci sono in ballo 4,6 miliardi di euro, per Budapest circa un miliardo. Il via libera dovrebbe arrivare entro la fine del 2021, ormai agli sgoccioli, ma data la situazione “è improbabile che possiamo finalizzare questo lavoro ancora quest’anno”, avverte Dombrovskis. “I progressi sulla sostanza sono ciò che determinano davvero la velocità” dell’iter di approvazione.