Bruxelles – A 16.400 chilometri dalla capitale dell’Unione Europea, al largo della costa nord-orientale dell’Australia, si sta tenendo uno dei più accesi dibattiti sull’autodeterminazione dei popoli sul territorio dei Paesi europei. Nonostante l’attenzione mediatica europea sia spesso focalizzata solo sulle vicende dell’indipendentismo catalano e scozzese, a una settimana dell’indipendenza di Barbados dalla Gran Bretagna, con il referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia dalla Francia di domenica prossima (12 dicembre) si giocherà non solo il destino di una delle enclave più lontane dell’Unione, ma anche il ruolo geopolitico del Paese membro che assumerà la prossima guida semestrale del Consiglio dell’UE.
Fra pochi giorni gli elettori neocaledoni si recheranno alle urne per la terza volta in quattro anni (come previsto da un dettagliato accordo con Parigi) per decidere in merito alla separazione del territorio francese d’oltremare dall’attuale, lontana, Capitale. Il primo voto del 4 novembre 2018 – che aveva riaperto la strada tracciata nel 1987 – era stata una vittoria di misura degli anti-indipendentisti con il 56,6 per cento dei voti, sceso al 53,2 solo due anni più tardi (4 ottobre 2020). Che il vento pro-indipendenza stia soffiando in Nuova Caledonia l’ha dimostrato l’elezione di Louis Mapou, attivista indipendentista di origine kanaki (il popolo indigeno nativo dell’arcipelago), a capo del governo locale lo scorso 8 luglio.
A pesare sul voto di domenica ci sarà però anche il fattore COVID-19. A causa dell’ondata di pandemia (la prima da marzo 2020) che si è abbattuta sull’arcipelago dallo scorso settembre e che ha portato alla morte di 279 abitanti, il Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista (FLKNS) ha chiesto al governo francese di rinviare il referendum sull’indipendenza per concentrarsi prima sulla lotta al COVID-19 in Nuova Caledonia. Sul fronte opposto, i lealisti hanno accusato gli indipendentisti di usare la pandemia per giustificare il rinvio di un referendum che temevano di perdere, sottolineando il ruolo decisivo di Parigi nell’invio di medici e vaccini nelle isole per sostenere il sistema sanitario locale. A seguito della conferma dell’apertura delle urne il 12 dicembre, il FLKNS ha annunciato che boicotterà il referendum e che non ne riconoscerà il risultato.
Le conseguenze per Francia e Unione Europea
Il dibattito sul rinvio del referendum d’indipendenza è determinato dalle condizioni dell’Accordo di Nouméa del 1988 tra Francia e Nuova Caledonia, che ha posto le basi per la decolonizzazione dell’arcipelago e il diritto all’autodeterminazione. Nel testo viene specificato che Parigi dovrà assicurare tre referendum per stabilire se e come effettuare il trasferimento di poteri a Nouméa, la capitale delle isole. Nel caso in cui anche questa volta la maggioranza dovesse appoggiare i lealisti, si dovrebbe rinegoziare un nuovo accordo: è per questo motivo che, con la variabile COVID-19 sul tavolo, gli indipendentisti stanno spingendo per il boicottaggio e i lealisti per andare lo stesso alle urne.
L’arcipelago di isole è stato acquisito da Parigi come possedimento nel 1853 ed è rimasto nell’orbita francese fino a oggi come territorio d’oltremare. Nonostante abbia un certo grado di indipendenza e un proprio Congresso, lo statuto della Nuova Caledonia continua a essere considerato come un riflesso del passato coloniale, in particolare dai Kanak. La stragrande maggioranza del popolo indigeno – che costituisce il 40 per cento della popolazione totale – è a favore del porre fine alla propria dipendenza dalla Francia, ma sarà decisivo il voto del restante 60 per cento, composto dai discendenti dei coloni e dei lavoratori immigrati europei e asiatici.
Tutt’ora, l’arcipelago della Nuova Caledonia continua a rivestire un ruolo importante per la Francia, costituendo uno degli avamposti più strategici per far pesare la propria presenza nel Pacifico: lo status di Parigi come attore globale nella regione si basa prevalentemente sul rapporto con gli Stati Uniti e l’Australia – messo in crisi recentemente dalla disputa sui sottomarini – in ottica di contenimento della potenza cinese. Inoltre, i cittadini della Nuova Caledonia votano per le elezioni presidenziali francesi e l’esito del referendum sull’indipendenza determinerà anche se gli elettori del territorio d’oltremare potranno partecipare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica il prossimo 10 aprile.
Proprio per questo legame politico-istituzionale tra la Nuova Caledonia e la Francia che potrebbe cambiare a partire da lunedì prossimo, anche le istituzioni europee sono pronte a un eventuale nuovo rapporto con l’arcipelago del Pacifico. Se Nouméa dovesse staccarsi ufficialmente da Parigi, gli elettori neocaledoni non potranno più partecipare alle elezioni del Parlamento Europeo, già a partire dal 2024. Una novità che non permetterebbe più di vedere a Bruxelles eurodeputati come Maurice Ponga, politico della Nuova Caledonia eletto nel 2009 (fino alle elezioni del 2019, quando tutte le circoscrizioni francesi sono state accorpate) come rappresentante dei territori d’oltremare.