Bruxelles – Quasi 387 miliardi di euro di fondi dal bilancio europeo per finanziare la politica agricola comune. La nuova PAC, che entrerà in vigore il primo gennaio 2023, vale oltre il 30 per cento delle risorse del bilancio comunitario a lungo termine (2021-2027) ed è frutto di un compromesso raggiunto con fatica dalle tre Istituzioni europee a fine giugno, ultima conquista della presidenza di turno del Portogallo. La prossima settimana, durante la sessione plenaria (22-25 novembre) a Strasburgo, l’Europarlamento dovrà votare su tutti e tre i regolamenti del testo di riforma, l’ultimo step formale per l’entrata in vigore dell’accordo nel 2023.
La riforma della politica agricola comune
Trovare un compromesso inter-istituzionale è stato particolarmente complesso perché con questa riforma si vuole, cautamente, avvicinare la politica agricola comune agli obiettivi del Green Deal, varato dalla Commissione nel 2019. Se la dimensione ambientale è il pilastro centrale della legislatura a guida Ursula von der Leyen, non tutti sono d’accordo su come dovrebbe influire sulla politica agricola, responsabile per oltre il 10 per cento delle emissioni di gas serra dell’UE (molte delle quali derivanti dall’allevamento). Il Parlamento è l’istituzione che spingeva per una PAC più “verde” e allineata con il Green Deal, mentre il Consiglio dell’UE è come sempre più cauto e più attento a difenderne la dimensione economica, come una misura di sostegno economico agli agricoltori.
La grande novità della riforma sono gli eco-schemi, che definiscono la percentuale dei pagamenti diretti della PAC destinati a pratiche agricole rispettose dell’ambiente. I negoziatori hanno concordato per stanziarvi il 25 del bilancio del primo pilastro (gli aiuti diretti agli agricoltori) tutto il periodo, con la flessibilità di fare solo il 20 per cento i primi due anni (2023-2024). Quanto al secondo pilastro – il sostegno allo sviluppo rurale – i negoziatori hanno deciso di riservarvi il 35 per cento del bilancio alla spesa per il clima e l’ambiente. Su richiesta del Parlamento è stata introdotta per la prima volta una dimensione sociale della PAC, per i diritti dei lavoratori: per cui al più tardi dal 2025 sarà introdotto un sistema di sanzioni per gli agricoltori che non rispettano i diritti dei loro lavoratori, rimane una responsabilità delle autorità nazionali competenti quella di effettuare controlli e trasferire un elenco delle infrazioni.
Altra novità che sarà centrale nella politica agricola europea per tutto il 2022 è che gli Stati membri dovranno elaborare piani strategici nazionali per indicare alla Commissione europea come il loro comparto agricolo può contribuire agli obiettivi del Green Deal. I governi hanno la scadenza del 31 dicembre per portare sul tavolo della Commissione queste linee strategiche di azione, anche se potrebbero esserci ritardi.
Il voto in Aula
Martedì 23 novembre è previsto un dibattito in Aula a Strasburgo su tutti e tre i regolamenti di riforma: quello sui piani strategici, firmato dal relatore Peter Jahr, quello sul finanziamento, gestione e monitoraggio della PAC (il cosiddetto regolamento orizzontale) firmato da Ulrike Müller, e infine quello sull’organizzazione dei mercati agricoli, a prima firma di Eric Andrieu. Dopo il primo passaggio a settembre in commissione Agricoltura (AGRI) con ampia maggioranza, il via libera dell’Eurocamera appare scontato ma non è mai detta l’ultima parola.
I più critici dell’Emiciclo nei confronti della riforma sono i Verdi europei, il co-presidente Philip Lamberts l’ha più volte definita “sorda e cieca alle questioni sociali, climatiche e della biodiversità”, invitando anche i colleghi parlamentari ad affossare la riforma. “Il voto sulla PAC della prossima settima è l’ultima possibilità di fermare l’accordo scellerato sulla nuova PAC, che così com’è è un vero schiaffo alle ambizioni ambientali e climatiche dell’UE e un assegno, pressoché in bianco, alle lobby dell’agribusiness e degli allevamenti intensivi”, spiega a Eunews l’eurodeputata italiana del gruppo, Eleonora Evi. Aggiunge che l’accordo “conferma il disastroso status quo, in cui grandi aziende agricole praticano un modello di agricoltura industriale insostenibile, ricevendo la maggior parte dei sussidi PAC, a discapito dei piccoli agricoltori che, lasciati con le briciole, continuano a sparire a vista d’occhio. La PAC frutto di questo accordo di fatto slega un terzo del bilancio UE dal rispetto degli obiettivi del Green deal europeo, in termini di protezione dell’ambiente e della biodiversità, di un minor uso di pesticidi e una maggiore superficie dedicata al biologico, minandone seriamente la credibilità”. Conferma che il gruppo dei Greens/Efa si sta mobilitando e “portando avanti iniziative e campagne di informazione di cui #votethiscapdown (affossa questa PAC) è il messaggio centrale, per far sì che il Parlamento si riscatti sul finale, dando ascolto ai cittadini e alle associazioni che a gran voce si oppongono a questo accordo criminale”.
Molte delle critiche del mondo ambientalista all’ambizione climatica della riforma sono motivate dal fatto che anche se ci sono stati dei passi avanti rispetto al passato con l’introduzione degli eco-schemi, in realtà per gli agricoltori non sono azioni obbligatorie o vincolanti. Quasi nulla è richiesto agli Stati obbligatoriamente, gli impegni per l’architettura verde sono quasi tutti su base volontaria: gli eco schemi, l’agricoltura biologica, come la riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti. Bisognerà vedere dai piani strategici nazionali come la sfida ambientale sarà accolta dagli Stati membri.