Bruxelles – Capitale umano e connettività insufficienti, servizi pubblici digitali accettabili, integrazione delle nuove tecnologie ottime. È arrivata oggi (venerdì 12 novembre) la pagella italiana dell’Unione Europea sulle prestazioni e i progressi compiuti in materia di competitività digitale nel 2020. La pubblicazione dell’indice dell’economia e della società digitali (DESI) 2021 è una cartina tornasole dello stato di salute dell’Italia e degli altri 26 Paesi membri in uno dei settori-chiave per la ripresa dalla crisi post-COVID e fornisce indicazioni fondamentali sugli sviluppi dell’economia e della società digitale durante il primo anno di pandemia.
“Tutti i Paesi dell’Unione Europea hanno fatto progressi nel diventare più digitali e più competitivi, ma si può fare di più”, ha commentato la vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager. Il rapporto 2021 indica in quale direzione dovranno andare gli investimenti attraverso i fondi dei Piani di ripresa e resilienza nazionali, tenendo in considerazione gli obiettivi della Bussola Digitale 2030. “Dobbiamo migliorare collettivamente, per garantire che i cittadini e le imprese europee possano accedere e utilizzare tecnologie all’avanguardia”, ha esortato il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton.
Come indicato dallo stesso commissario a settembre, a partire dai risultati dell’indice DESI di quest’anno scatterà un sistema di monitoraggio dei progressi degli Stati membri, per elaborare relazioni annuali e tabelle di marcia per ciascuno Stato membro all’interno di un meccanismo di cooperazione con la Commissione Europea. Nonostante tutti i Ventisette abbiano fatto uno scatto in avanti, il quadro generale dell’UE risulta eterogeneo, con un ampio divario tra i Paesi che trainano la digitalizzazione e quelli che arrancano: l’Italia, al ventesimo posto in classifica, si inserisce nel secondo gruppo.
L’indice digitale dell’Italia
Anche analizzando l’indice DESI italiano emerge un’evidente eterogeneità tra le quattro componenti su cui si basa il documento. In particolare, deve essere segnalato il divario tra l’introduzione delle tecnologie digitali (come i sistemi cloud, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e la fatturazione elettronica) e le competenze digitali di base e avanzate dei cittadini (al terzultimo posto in tutta l’Unione). In questo senso si guarda con grande speranza al Piano nazionale di ripresa e la resilienza, che “prevede una tabella di marcia ambiziosa, con riforme e investimenti relativi a tutti gli aspetti del DESI”.
Come confermato dal rapporto 2021, il Paese è “significativamente in ritardo” in termini di capitale umano. A possedere competenze digitali di base è il 42 per cento delle persone tra i 16 e i 74 anni (contro il 56 dell’UE), mentre uno ogni cinque dispone di competenze avanzate (22 per cento, contro il 31 nell’UE). Solo un italiano su cento, al momento della scelta universitaria, si orienta verso discipline TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e meno di un’azienda su sei (15 per cento) eroga ai propri dipendenti formazione in questo ambito. Da sottolineare, invece, che le prestazioni italiane si avvicinano a quelle comunitarie sul piano del rapporto tra specialisti e specialiste TIC: le donne occupate rappresentano il 16 per cento del totale, mentre la media UE è del 19. Un dato che comunque è ancora troppo basso in tutta l’Unione e che preoccupa le istituzioni UE.
Il rapporto DESI sottolinea che negli ultimi anni in Italia è stata prestata “maggiore attenzione alla pressante necessità” di colmare le lacune di competenze in campo digitale. Per esempio, lo scorso anno il governo ha varato la prima Strategia Nazionale per le Competenze Digitali, accompagnata da un piano operativo che fissa “obiettivi ambiziosi per il 2025”. Dal raggiungere il 70 per cento di cittadini in possesso di competenze di base e raddoppiare la percentuale di popolazione con competenze avanzate, al triplicare il numero di laureati in TIC e quadruplicare quello di laureate, fino all’aumento del 50 per cento della quota di piccole e medie imprese che impiegano specialisti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Altro ambito di grande criticità è quello relativo alla connettività. In questa classifica digitale specifica l’Italia perde tre posizioni rispetto a quella generale, a causa di un “ritmo di dispiegamento della fibra rallentato tra il 2019 e il 2020” e la necessità di “ulteriori sforzi per aumentare la copertura delle reti ad altissima capacità e del 5G”. Tre famiglie su cinque sono abbonate alla banda larga fissa (la media UE è del 77 per cento), mentre meno di una ogni tre dispone di una velocità di rete di almeno 100 megabit al secondo (in crescita da 22 al 28 punti percentuali, ma sotto alla media dell’Unione del 34). Anche sul fronte della copertura di rete fissa ad altissima capacità il dato è inferiore a quello dell’Unione (34 per cento contro 59) e solo l’8 per cento delle zone abitate è coperto dal 5G, nonostante il tasso relativamente elevato di preparazione alla tecnologia di quinta generazione (60 punti percentuali).
Discreto, ma ancora da migliorare, il capitolo sui servizi pubblici digitali. Nonostante i miglioramenti registrati, che hanno portato l’Italia al 18 posto in classifica, il loro uso “rimane relativamente basso”, si legge nel documento. La percentuale di utenti italiani che ricorre a servizi di e-government è passata dal 30 nel 2019 al 36 nel 2020, ma si tratta di poco più della metà rispetto alla media degli utenti UE (64). In Italia il problema su questo aspetto digitale si registra nell’offerta ai cittadini e nella disponibilità di moduli pre-compilati, mentre il Paese ottiene risultati migliori rispetto all’UE per quanto riguarda l’offerta di servizi pubblici digitali per le imprese e i dati aperti.
Le prospettive per il Paese sono però tutt’altro che nere. Nel 2020 e nel 2021 si è registrata “una forte accelerazione nell’adozione di importanti piattaforme abilitanti per i servizi pubblici digitali“: il numero di identità digitali con il sistema SPID (conforme al regolamento eIDAS) ha raggiunto i 20 milioni nell’aprile del 2021, cinque volte in più rispetto a dodici mesi prima. Le amministrazioni pubbliche che utilizzano lo SPID hanno toccato quota 7.420, per un aumento dell’80 per cento rispetto al 2020. Sul fronte della sanità, il fascicolo sanitario elettronico è operativo in tutte le regioni ed è stato attivato dalla maggioranza dei cittadini, anche se il livello di utilizzo varia “notevolmente” su base regionale. “Si prevede che le iniziative legislative intraprese promuovano l’adozione di piattaforme abilitanti da parte di tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle locali”, è la previsione del rapporto DESI 2021, e “la piena diffusione dell’app IO” (punto di accesso unico ai servizi pubblici digitali, che ha registrato 11 milioni di download in un anno) “potrebbe contribuire a un graduale aumento dell’adozione da parte di cittadini e imprese”.
Ma c’è un ambito digitale in cui l’Italia si distingue già in maniera positiva, l’unico in cui fa meglio della media comunitaria: quello dell’integrazione delle tecnologie sul piano industriale e aziendale. Il Paese entra nella top10 grazie a un livello di intensità digitale nelle piccole e medie imprese del 69 per cento (contro il 60 dell’Unione). Risalta in particolare l’utilizzo della fatturazione elettronica, che riguarda la quasi totalità delle imprese (95 per cento), “frutto di interventi legislativi tra il 2014 e il 2019″. Ottimi risultati anche sul fronte dei servizi cloud, il cui impiego è aumentato fino a raggiungere un’azienda su tre (38 per cento, 26 nell’UE).
Ci sono ancora possibilità di miglioramento sui big data, utilizzati solo da un’impresa italiana ogni dieci (9 per cento, rispetto al 14 nell’Unione), sulle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (18 per cento in Italia, 25 la media UE) e sulla diffusione del commercio elettronico e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la sostenibilità ambientale. In ogni caso, “l‘Italia è uno degli attori europei più attivi nel settore del supercalcolo” e il Paese ospita supercomputer classificati tra i primi 500 sistemi al mondo. Grazie al sostegno di EuroHPC, l’Italia guida un consorzio per lo sviluppo del supercomputer LEONARDO, che sarà installato entro fine 2021 in un nuovo centro a Bologna e che sarà tra i primi cinque al mondo.
“La promozione dell’economia digitale richiede un approccio coordinato e globale che combini incentivi agli investimenti, servizi di sostegno e sensibilizzazione, e crei forti legami con gli investimenti in capitale umano”, conclude il rapporto DESI 2021 per l’Italia. “Per una trasformazione duratura, è importante proseguire gli sforzi per sviluppare le capacità delle imprese italiane“, sia fornendo ai cittadini competenze digitali avanzate sia “fornendo opportunità a posti di lavoro di qualità”.