Bruxelles – “Dobbiamo fare tutto il necessario” contro il cambiamento climatico, per mantenere “l’aumento della temperatura del pianeta sotto i 1,5°C”. L’appello di Ursula von der Leyen agli altri leader mondiali in occasione della Conferenza sul clima di Glasgow è tutto meno che una citazione casuale, ma un chiaro riferimento allo slogan “whatever it takes” pronunciato nel 2012 dall’allora governatore della Banca Centrale europea Mario Draghi per salvare “a qualunque costo” la moneta unica dalla crisi del debito comune. Anche se stavolta l’obiettivo è diverso, è l’impegno a oltranza per arrivarci a dover essere lo stesso. “La scienza ci dice che il cambiamento climatico è colpa dell’uomo, quindi possiamo fare ancora qualcosa” per limitarne i danni.
La presidente della Commissione Europea interviene alla due giorni di vertice dei leader aperta oggi (primo novembre) a Glasgow dal premier britannico Boris Johnson e da quello italiano Mario Draghi. “E’ la nostra occasione per cambiare la storia, anche di più è il nostro dovere agire adesso”. Von der Leyen ricorda l’impegno dell’UE attraverso il Green Deal di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050, il primo Continente al mondo ad aver fissato questo target. “Non risparmieremo gli sforzi” per raggiungerlo, ha assicurato. Ma la COP26 su cui per i prossimi 12 giorni gli occhi del mondo saranno puntati è l’occasione “per accelerare gli impegni globali nella corsa alle emissioni zero. Il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo”, ha aggiunto.
Enumera gli impegni che dovranno arrivare dalle conclusioni di questa Conferenza piena di aspettative: nuovi impegni nazionali sulla riduzione delle emissioni, un solido insieme di regole per dare seguito all’accordo di Parigi del 2015 – ad esempio mettendo un prezzo globale sul carbonio, un prezzo che “la natura non può pagare più” – ma allo stesso tempo aumentare i finanziamenti alla transizione dei Paesi poveri. Gli impegni dell’UE su questo fronte erano vicini ai 27 miliardi di dollari nel 2020, a cui Bruxelles aggiungerà altri 5 miliardi fino al 2027 a valere sul budget a lungo termine.
“Dobbiamo rendere questa COP26 un successo, lo dobbiamo ai nostri figli”. La presidente della Commissione prende parte al vertice di Glasgow insieme al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che la precede sul palco. “Il cambiamento climatico minaccia la nostra sicurezza e delle future generazione”, ha ricordato. “Sta a noi invertire la rotta e restituire ai giovani il futuro che meritano. Non possiamo girarci e guardare dall’altra parte mentre la nostra casa brucia”, afferma citando l’ex presidente francese, Jacques Chirac.
Non solo von der Leyen e Michel alla COP26, ma anche molti altri volti europei. Emmanuel Macron, che tra due mesi precisi prenderà le redini dell’Unione Europea nella presidenza di turno, ha auspicato politiche ottimistiche e impegni concreti contro i cambiamenti climatici. “La Francia, è più in generale l’Unione europea, sono pronti a soddisfare i loro impegni”, ha detto, mentre i Paesi che non stanno contribuendo “quanto dovrebbero” sono chiamati “a soddisfare le loro responsabilità” entro la fine della COP26. Il riferimento poco velato è ai grandi emettitori, Cina, India e in parte Russia, che oggi sono più restii a impegnarsi su una precisa data per la fine delle emissioni. Grandi emettitori e grandi assenti (fisicamente) a questa COP26 che sul fronte delle emissioni rischia di concludersi con un nulla di fatto.
Divisi sulla velocità
Il negoziato sul taglio delle emissioni è in salita, e il problema di far convergere le grandi potenze sull’obiettivo al 2050 è reale. Lo dimostra il fatto che nel corso dei vari interventi che si sono susseguiti, dal premier indiano Narendra Modi sia arrivato l’annuncio che “l’India raggiungerà l’obiettivo delle emissioni zero nel 2070”, non più al 2060. Poche ore dall’inizio della COP26 e l’asticella si alza ancora. Il problema è che si parte da “condizioni di partenza molto diverse, anche perché storicamente diverse”, ha ricordato in conferenza stampa il premier Draghi, tirando le fila di questa prima giornata di lavori.
Le grandi economie emergenti asiatiche, Cina e India in primis, ricordano agli altri Paesi che sono arrivati a inquinare duecento anni dopo l’industrializzazione che ha vissuto il mondo occidentale, che ora invece gli chiede uno stop. Questa richiesta è percepita come ingiusta e i Paesi chiedono un margine di tempo più ampio per intraprendere la via della neutralità. Dall’altra parte, ci sono Paesi generalmente più poveri e più “colpiti dal cambiamento climatico, che però impattano poco” a livello di produzione delle emissioni, ha ricordato Draghi, sintetizzando che ormai la distanza tra i leader mondiali è sulla velocità con cui centrare gli obiettivi, non tanto sugli obiettivi stessi. La chiave per il premier italiano non sta nel “mettergli pressione”, perché “con la diplomazia dello scontro si rischia di non concludere nulla”.
Qui si annidano le difficoltà del negoziato, appena iniziato ma che si preannuncia difficile. Draghi insiste nuovamente sulla necessità di trovare la giusta sinergia tra settore pubblico e privato per quanto riguarda gli investimenti nella transizione. Il primo “deve aiutare il secondo a suddividere il rischio” che accompagna l’investimento “green”. A “prescindere dal fatto che si tratti di nuove tecnologie o programmi infrastrutturali per l’adattamento ai cambiamenti climatici, il denaro può non essere più un vincolo se portiamo dalla nostra parte il settore privato”, ha sottolineato agli altri leader durante la tavola rotonda. Invita “tutte le banche multilaterali di sviluppo e la Banca Mondiale ad impegnarsi seriamente nella condivisione dei rischi con il settore privato”. Prima di chiudere il suo intervento, ha suggerito “di creare qui, durante questa COP26, una task force che predisponga un progetto in tal senso”.