L’acquisto della squadra inglese del Newcastle da parte del fondo di investimento sovrano dell’Arabia Saudita a inizio ottobre 2021 ha scatenato diverse polemiche non solo nell’universo del calcio britannico. Dopo anni di trattative, l’imprenditore Mike Ashley, ormai ex proprietario dei Magpies, ha ceduto la squadra al PIF, il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita, per la cifra astronomica di 300 milioni di sterline (all’incirca 350 milioni di euro).
Il Newcastle è diventato così la squadra più ricca del mondo, visto che si ritiene che il PIF abbia un patrimonio stimato intorno ai 500 miliardi di dollari (corrispondenti a 430 miliardi di euro), ossia all’incirca 10 volte il patrimonio di Al Khelaïfi, sceicco del Qatar e proprietario del PSG, e 26 volte quello di Mansour Al Nahyan, attuale direttore sportivo del Manchester City. Numeri importanti quelli del nuovo Newcastle che consentiranno di investire sul mercato ben 700 milioni di euro per i prossimi tre anni. Nonostante le promesse di spesa per accaparrarsi i migliori talenti in circolazione, per ora l’ingresso dei sauditi non ha fatto cambiare di una virgola i pronostici Premier League di Sportytrader per questa stagione, lasciando inalterate le speranze del Newcastle di diventare una delle possibili pretendenti al titolo.
Ma perché si parla di scandalo, se i nuovi proprietari evocano investimenti per migliorare le sorti della squadra? Ebbene, la diatriba non riguarda certo le cifre da capogiro appena evocate, bensì concernela vendita della società a un fondo saudita, apparentemente indipendente, ma probabilmente gestito dal principe Mohammad Bin Salman, responsabile dell’autorizzazione nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi che scandalizzò l’opinione pubblica di mezzo mondo. Agli occhi dell’Europa e dell’occidente, l’Arabia Saudita è il regno delle violazioni dei diritti delle donne, il paese in cui la dissidenza e l’opposizione non esistono perché la libertà di espressione è perennemente repressa, in cui gli oppositori della monarchia si trovano in carcere in condizioni disumane, per non parlare delle bombe lanciata da anni sullo Yemen…
Cosa c’entra tutto questo con l’acquisto di una squadra storica inglese che non vince un titolo da più di 50 anni? Comprare il Newcastle, oggi, è quella che in Europa viene definita una chiara operazione di sport washing: ripulire l’immagine di un paese nemico dei diritti umani, sfruttando lo sport, per rendere tale immagine moderna e accettabile agli occhi dell’opinione pubblica europea. L’obiettivo di tale campagna di sport washing è quindi quello di costruire un nuovo sguardo rispetto all’immaginario legato all’Arabia Saudita. D’altra parte non è la prima volta che questo paese investe nello sport per attirare i riflettori dell’universo europeo: basti pensare alla discutissima finale di Supercoppa italiana del 2019 giocata proprio in Arabia Saudita o alla finale tra Fognini e Medvedev della Tennis Cup Diriyah.
Oltre a voler creare un’immagine accettabile e moderna di un paese in cui normalmente si ignorano i diritti umani e si eliminano i giornalisti scomodi al potere, grazie allo sport washing l’Arabia Saudita spera di ottenere un beneficio non solo a livello d’immagine ma soprattutto a livello economico. Si tratta in effetti di una vera e propria strategia economica che trova posto all’interno del piano chiamato Saudi Vision 2030 il quale prevede, tra i tanti obiettivi, di attirare una grossa fetta di turisti provenienti dall’Europa, paese in cui si sta svolgendo la più recente operazione di sport washing.
Certo non è la prima volta che assistiamo a operazioni di sport washing in Europa: basti pensare all’acquisto del Manchester City da parte degli sceicchi degli Emirati Arabi Uniti o a quello del Paris-Saint-Germain da parte degli sceicchi del Qatar. Insomma, senza interrogarsi troppo, attraverso lo sport l’Europa sta concedendo ampi spazi di visibilità a Paesi di solito aspramente criticati nel Vecchio Continente per le loro pratiche considerate poco democratiche. Ma c’è anche chi sostiene che queste operazioni “sportive” aiuteranno a dare visibilità a popolazioni che solitamente godono di pochi diritti. Il dibattito è aperto.