Bruxelles – “Con tutto il rispetto, oggi i giornalisti hanno la stessa protezione dei ciabattini. È giunta l’ora che si pensi a norme particolari per tutelare la loro indipendenza”. La vicepresidente della Commissione europea Vĕra Jourová ha usato parole molto chiare nel dibattito di oggi (26 ottobre) sulla libertà di stampa alla commissione cultura del Parlamento europeo: ha citato per nome gli Stati con una situazione problematica (Ungheria, Polonia e Slovenia) e ha ribadito che “difendere la libertà dei media significa difendere la democrazia”.
La vivace metafora di Jourová con i calzolai (ripetuta più di una volta in aula) significa che al momento non esiste alcun quadro legislativo specifico per la protezione degli operatori dei media. Nel mese di settembre la Commissione ha promosso delle raccomandazioni agli Stati membri per migliorare la situazione dei giornalisti, succeduta poi da una risoluzione sullo stesso tema votata a larga maggioranza dal Parlamento europeo. Ursula von der Leyen ha poi da tempo annunciato che proporrà nei prossimi mesi un intervento legislativo chiamato “Media Freedom Act”, per il quale sono al momento in corso le consultazioni con gli esperti prima della sua stesura.
Su quest’ultimo si è concentrato il dibattito tra la Commissaria della Repubblica Ceca e gli eurodeputati. Oltre alla protezione fisica dei giornalisti (che nel territorio dell’Unione hanno subito oltre 900 aggressioni lo scorso anno, con due cronisti che sono stati assassinati), i parlamentari hanno evidenziato l’importanza della loro condizione economica: in un periodo in cui il lavoro dei giornalisti si fa sempre più precario, è più difficile mantenere l’indipendenza necessaria per un’informazione di qualità. Tale situazione è stata aggravata dalla pandemia: i media hanno perso molti introiti dal calo delle pubblicità, il che rende più facile la loro acquisizione da parte di portatori di interessi. Questo problema è particolarmente sentito in Europa orientale, con Jourová che ha assicurato che la trasparenza delle proprietà e dei finanziamenti saranno al centro del Media Freedom Act.
La vicepresidente della Commissione ha tenuto a evidenziare come in un sistema virtuoso (Jourová ha citato esplicitamente la Germania), “c’è una forte presenza di media pubblici, accompagnata da apertura e agevolazioni verso l’informazione privata. Pubblico però non significa statale, dal momento che i media statali tendono ad avere una posizione sbilanciata a favore dei governi in carica”. “Nei Paesi in cui la grande maggioranza dell’informazione è in mano statale”, ha continuato la Commissaria, “mi sento di dire: grazie a Dio che esistono i social network, dove la gente può esprimere liberamente la propria opinione”.
La tutela della libertà di opinione rende legiferare sui media un compito delicato. Alla deputata slovena Irena Joveva, che a proposito di media che diffondono fake news ha chiesto alla Commissaria di “distinguere le mele buone dalle mele marce”, Jourová ha risposto con un ricordo biografico. “Nella Cecoslovacchia comunista il ministro dell’Informazione era l’uomo più potente del Paese, proprio perché decideva quali erano le mele buone e quali no. Dobbiamo essere molto cauti in questo ambito”.
Tuttavia, la censura non è solamente quella imposta dagli Stati o da portatori di interesse. L’eurodeputato dei Repubblicani francesi François-Xavier Bellamy ha ricordato in aula il caso di Bari Weiss, la giornalista del New York Times dimessasi in polemica con quella che lei ha chiamato “ortodossia di pensiero e settarismo” all’interno della redazione, che porterebbe all’autocensura di chi ha idee diverse dal mainstream. “Concordo sull’importanza del tema, ma a tale riguardo non abbiamo ancora parlato con gli Stati membri”, ha risposto Jourová.