Bruxelles – I soldi dell’Unione europea continuano a essere spesi male. Anche nel 2020 i casi di irregolarità, frodi e mancato utilizzo non sono mancati. Il dato è sostanzialmente stabile o addirittura in calo, come nel caso delle frodi accertate, sei rispetto alle nove del 2019. Ciò che preoccupa è che le spese nei conti per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2020 “sono inficiate da errori in misura rilevante“. La revisione della Corte dei conti europea certifica questo, ancora troppi errori nell’uso delle risorse UE.
Errore, ovvero mettere a carico dell’UE
Un errore, ricordano i revisori di Lussemburgo, è un importo che non avrebbe dovuto essere posto a carico del bilancio dell’UE ma che invece finisce per gravare sulle spese comuni. Errori si verificano quando i fondi non sono impiegati in conformità alla normativa UE applicabile, e quindi non sono impiegati come previsto dal Parlamento europeo e dal Consiglio all’atto dell’approvazione di detta normativa; oppure, quando i fondi non sono impiegati in conformità a specifiche norme nazionali. Le maglie sono ancora troppo larghe.
Rimborsi facili, troppo facili
Il principale uso sbagliato dei soldi europei riguarda “principalmente di spese per rimborsi“, per le quali il livello di errore stimato è del 4 per cento. A causa principalmente di un ulteriore aumento delle spese per le politiche di coesione, dette spese sono aumentate fino a 87,2 miliardi di euro nel 2020. La spesa ad alto rischio rappresenta il 59 percento del totale delle verifiche condotte dalla Corte, ed è aumentata rispetto allo scorso anno, quando ne costituiva circa il 53,1 per cento.
La genesi dell’errore rimborso è nella giungla normativa degli Stati membri. Su questo la Corte dei conti non ha dubbi. Il rimborso impone l’onere della prova delle spese sostenute dopo aver presentato domanda dichiarando le spese ammissibili per cui si è anticipato la somma di denaro. “Per fare questo i beneficiari devono spesso seguire norme complesse che disciplinano ciò che può essere dichiarato (ammissibilità) e come eseguire le spese in maniera adeguata. C’è dunque terreno fertile per irregolarità, ed è qui che si invitano gli Stati a intervenire.
Fondi strutturali, nodo europeo ed italiano
Le regioni hanno bisogno di soldi e l’UE li mette a disposizione, ma gli enti locali non sanno intercettarli. La Corte dei conti europea sottolinea che l’assorbimento dei Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE) da parte degli Stati membri “continua ad essere più lento del previsto.” A fine 2020, l’ultimo anno del bilancio settennale 2014-2o20 preso in esame, solo il 55 per cento dei finanziamenti UE decisi per il 2014-2020 era stato erogato. Ciò ha avuto per effetto l’ulteriore aumento degli impegni non ancora liquidati, che a fine 2020 hanno raggiunto i 303,2 miliardi di euro, valore quasi equivalente a due bilanci annuali.
La fine del 2020 è all’insegna di ancora troppi errori nell’uso delle risorse UE. In pratica tutto questo si traduce per un danno delle aree più svantaggiate. Per l’Italia questo vuole dire penalizzare il Mezzogiorno. Lo sviluppo delle regioni resta al palo. In questa classifica di incapacità di assorbimento dei fondi per le regioni si contraddistinguono in negativo sette Stati membri, capaci di spendere meno della metà di quanto destinato. Si tratta di Malta (47 per cento), Slovacchia (46 per cento), Spagna (45 per cento), Croazia (45 per cento) e Italia (44 per cento). Roma è dunque ultima in questa classifica, confermando una volta di più le sue difficoltà tradizionali e strutturali nell’utilizzo di risorse UE.
Le sfide per il recovery fund
Le criticità individuate dai revisori di Lussemburgo pongono la questione del giusto e pieno utilizzo del Meccanismo per la ripresa, Next Generation EU, e il recovery fund in esso ricompreso. Lo strumento senza precedenti varato per far fronte alla crisi economica innescata dalla pandemia di COVID-19 mette a disposizione dei Ventisette risorse aggiuntive pari a 750 miliardi di euro oltre al bilancio settennale 2021-2027. In totale ci sono in ballo qualcosa come 1.824 miliardi di euro, quasi il doppio dell’ammontare dei fondi spesi nel precedente periodo bilancio 2014-2020. “Ne consegue l’ovvia necessità di effettuare controlli efficaci su come vengono spesi i soldi dell’UE nonché sull’ottenimento dei risultati attesi”, mette in guardia Klaus-Heiner Lehne, il presidente della Corte. Un monito valido soprattutto per l’Italia.
Quello che preoccupa a Lussemburgo è in particolare il rischio di ritardi nell’avvio dell’esecuzione dei fondi a gestione concorrente nel periodo finanziario 2021-2027. “In vista delle grandi sfide che abbiamo davanti, dobbiamo vigilare ancor di più sulla solidità finanziaria dell’UE”, l’altro richiamo di Lehne.