Angela Merkel viene lodata da ogni parte per essere colei che ha salvato l’Unione europea nelle tante crisi passate negli ultimi 16 anni. Ma è davvero così? La cancelliera che sta per lasciare l’ufficio ha dei meriti, certamente, ha sempre lavorato a tenere insieme i membri dell’UE (non riuscendoci sempre, a dire il vero) ma lascia anche molti problemi irrisolti.
Il suo costante attendismo, il rinviare i problemi ad un “poi” che inevitabilmente li ha aggravati, il suo sforzo di proteggere il Partito popolare europeo contro tutto e tutti hanno gravemente danneggiato l’Unione, lasciando ai suoi successori tutto il lavoro per risanare i suoi errori.
Se l’Unione per anni non è riuscita ad affrontare problemi che ancora l’attanagliano è per responsabilità di Merkel e del peso specifico che la Germania ha, trascinandosi dietro poi molti altri governi.
In particolare credo che Merkel abbia molte responsabilità sul fronte dello stato di diritto. La deriva che Ungheria e Polonia hanno preso è in buona parte dovuta al fatto che fino a pochi mesi fa il Partito popolare europeo, che la cancelliera tedesca ha controllato con determinazione ,ha impiegato anni ed anni a marginalizzare e poi a costringere all’abbandono Viktor Orban. Anni preziosi per “l’uomo forte” di Budapest, durante i quali indisturbato ha cambiato leggi elettorali, leggi sulla stampa, sulla magistratura, sull’istruzione per rafforzarsi al potere, sempre sostanzialmente appoggiato dal primo partito europeo che mai, fino a tempi recenti, ha avuto il coraggio di denunciarlo.
Nel frattempo Orban è diventato un esempio per tanti altri estremisti in Europa, ha saldato l’asse con la Polonia. Ha dilagato. Ora nell’Unione ci sono cinquanta milioni di cittadini che vivono in “democrazie illiberali”, vergognoso termine coniato da Orban, ponendo un problema che Merkel ha lasciato da risolvere a chi viene dopo di lei. Ma i danni fatti non si argineranno facilmente.
Certo, il PPE per anni ha potuto far finta che il problema non esistesse, e ora paga questo ritardo, perdendo un premier dopo l’altro e con una forza parlamentare sempre più debole. Una debolezza che pesa su tutti gli europei, essendo il PPE un partito democratico che si restringe mentre si allargano gli “illiberali”.
Lasciamo stare qui il super analizzato e noto a tutti ritardo con il quale, proprio per le indecisioni di Merkel, la Grecia ha rischiato di esplodere. I cittadini greci ancora pagano il prezzo del ritardo dell’intervento di salvataggio. E tutti gli europei pagano una sensazione di insicurezza che quella crisi provocò. Poi certo, dietro il “Whatever it takes” di Draghi c’era l’appoggio della cancelliera, ma anche lì, l’iniziativa fu dell’italiano, che spiegò alla tedesca (e non solo a lei) che non c’erano altre vie per salvare l’euro.
Anche i rapporti commerciali e politici della cancelliera con Mosca e Pechino non hanno certo aiutato la posizione negoziale dell’Unione nei confronti di questi due giganti. Anzi, la questione Nord Stream 2 ha superato il confini europei, preoccupando anche gli Stati Uniti di Biden.
Per fortuna che di fronte alla crisi dovuta al COVID Mario Draghi, ai tempi semplice cittadino, riuscì a spiegare a Merkel che un intervento europeo era indispensabile per non far affondare anche l’economia tedesca (che già, invero, si stava rendendo conto delle dipendenza che ha da quella di Paesi come l’Italia).
Dunque sì, oggi il Consiglio Europeo saluta una grande europea, senza dubbio. Ma non la salvatrice dell’Unione. E la speranza ora è che senza una protagonista così pesante ed invadente l’UE riesca a decidere più in fretta, e con più coraggio fare le scelte severe ma necessarie che ha davanti. Scelte necessarie per sopravvivere.