Bruxelles – Poteva essere riconciliazione o scontro. E alla fine si è andati verso il muro contro muro. Davanti all’emiciclo del Parlamento Europeo, la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen prima, e il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, si sono sfidati questa mattina (19 ottobre) sulla crisi dello Stato di diritto in Polonia, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale di Varsavia che ha messo in discussione il primato del diritto comunitario. Anche se alla fine, davanti al rischio di perdere i fondi europei, il premier polacco ha confessato che Varsavia farà un passo indietro sul casus belli: “Aboliremo la sezione disciplinare della Corte Suprema, è un meccanismo che non ha soddisfatto le nostre ambizioni”, ha cercato di far passare in sordina la concessione.
Ostentando sicurezza e sfruttando l’arma del vittimismo, Morawiecki ha attaccato pesantemente Bruxelles: “Non possiamo tacere sugli attacchi parziali e ingiustificati contro di noi, mentre le istituzioni europee stanno prendendo la strada della divisione e dei doppi standard, per gli interessi di alcuni”. Nel corso del suo intervento di oltre mezz’ora (in cui a più riprese ha respinto con fastidio l’invito del vicepresidente dell’Eurocamera, Pedro Silva Pereira, a rispettare i tempi di parola), Morawiecki ha dato prova di saper spostare l’attenzione dal tema centrale della seduta: la violazione dell’indipendenza della magistratura e l’offensiva contro i Trattati fondanti dell’UE. Per esempio, ha allontanato le ipotesi di una Polexit, sostenendo che “l’Unione Europea è il nostro posto e non andiamo da nessuna parte“.
Tuttavia, non vanno sottovalutate le analisi del premier polacco sul rapporto tra diritto comunitario e diritto nazionale: “Gli Stati membri che compongono l’Unione rimangono sovrani. Non ci sono dubbi sul primato del diritto UE, ma solo sulle leggi ordinarie e nelle sfere in cui sono state trasferite le competenze, non sulla Costituzione nazionale“. Ancora più pesante l’attacco al “monopolio della Corte di Giustizia dell’UE nel definire questi confini, perché i Paesi membri devono avere strumenti per reagire quando Bruxelles non rispetta i propri limiti di competenza”. Il premier Morawiecki ha parlato di “strisciante ampliamento delle competenze delle istituzioni europee” e di una “rivoluzione silenziosa che viola anche i Trattati”.
Di qui è partita l’invettiva contro il tentativo di trasformare l’Unione Europea in un “organismo parastatale, che potrebbe imporre proprio volere alle sue province, se le Costituzioni nazionali si piegassero al diritto comunitario”. Il premier polacco ha ribaltato il discorso della violazione dell’indipendenza del sistema giudiziario, sostenendo che “la Corte di Giustizia dell’UE potrebbe arrivare a invalidare tutte le sentenze dei tribunali polacchi, ma è ora di dire basta al centralismo europeo”. Da Varsavia la volontà è quella di “dialogare, ma proponendo riforme istituzionali a livello di Unione Europea“.
Sul fronte opposto, la presidente della Commissione von der Leyen si è detta “fortemente preoccupata” della situazione del rispetto dello Stato di diritto in Polonia e ha assicurato gli eurodeputati che l’esecutivo UE sta valutando “attentamente” la sentenza della Corte Costituzionale polacca. Si tratta della “prima volta in assoluto che la Corte di uno Stato membro afferma l’incompatibilità dei Trattati con la propria Costituzione“. La leader dell’esecutivo UE ha ricordato che questa posizione “può avere conseguenze pesanti per il popolo polacco”, dal momento in cui “i diritti e le tutele, garantiti su tutto il territorio europeo, rischiano di non essere rispettati”.
Per questo motivo, se Varsavia non farà un passo indietro, “la Commissione Europea reagirà”, valutando le “opzioni note a tutti”, ha confermato von der Leyen. In primis, potrà impugnare la sentenza della Corte Costituzionale polacca presso la Corte di Strasburgo (anche se questo soluzione sembra fine a se stessa e non particolarmente minacciosa). Il secondo strumento è l’attivazione del meccanismo di condizionalità sul rispetto dello Stato di diritto per l’erogazione dei fondi del bilancio pluriennale UE 2021-2027: “Il governo polacco ci deve spiegare la compatibilità con questa sentenza”, ha attaccato von der Leyen, perché “se vogliamo investire nella ripresa collettiva, dobbiamo difendere il bilancio europeo da tutte le possibili violazioni“.
Ma c’è anche una terza opzione, ovvero “attivare la procedura secondo l’articolo 7″ del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Si tratta della possibilità di sospendere i diritti di adesione all’UE (per esempio il diritto di voto in sede di Consiglio), in caso di violazione “grave e persistente” da parte di un Paese membro dei principi sui quali poggia l’Unione. “A nostro avviso, il sistema giudiziario polacco non è più da tempo indipendente e qui si chiude il cerchio“, ha ribadito von der Leyen. Se la Commissione Europea decidesse di seguire questa strada, dopo la sua proposta, l’Eurocamera dovrebbe dare parere positivo con una maggioranza di due terzi, mentre la delibera dovrebbe arrivare dal Consiglio UE, con una maggioranza di quattro quinti dei membri (la Polonia, in questo caso, non parteciperebbe alla votazione).
Pallido invece l’intervento del ministro degli Esteri sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Anže Logar: “Continueremo a seguire gli sviluppi in Polonia, ma vogliamo un dialogo costruttivo tra la Commissione UE e il governo polacco, per giungere a posizioni di convergenza”. Nessuna presa di posizione forte da parte del membro del gabinetto presieduto da Janez Janša, che ha semplicemente ricordato che “l’Unione Europea è basata sul rispetto dello Stato di diritto” e che “il primato del diritto comunitario è l’architettura per garantire l’uguaglianza” di tutti gli Stati membri. “Senza, non ci sarebbe parità di condizioni per i cittadini europei”, ha concluso Logar.
Il dibattito in Parlamento
Durissimi gli interventi degli eurodeputati, in una discussione che ha occupato tutta la mattinata di lavori della sessione plenaria dell’Eurocamera. Come prevedibile, le destre dei Riformisti e Conservatori Europei (ECR) e di Identità e Democrazia (ID) hanno alzato i toni della polemica, difendendo il governo polacco e attaccando anche violentemente gli altri gruppi politici. Per esempio, il francese Nicolas Bay (ID) ha denunciato una “radicalizzazione solo contro alcuni Stati membri sovrani” e ha accusato Commissione e maggioranza parlamentare di volere dal premier Morawiecki “confessioni pubbliche ed estorte con le minacce”. Il polacco Ryszard Antoni Legutko (ECR) ha invece bollato il Parlamento Europeo di essere “un’istituzione dominata dalla sinistra”, che “può decidere una mostruosità dal punto di vista morale come il meccanismo per l’erogazione dei fondi UE”.
Dalle fila dei popolari – accusati dai due gruppi di destra di essere “asserviti alle sinistre” – il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber, ha voluto fare una distinzione netta tra i cittadini polacchi e il governo Morawiecki: “È tutto un problema di politica interna, non di antitesi tra Stati nazionali e Unione Europea, dal momento in cui i Trattati sono stati firmati da Varsavia liberamente”. Anche se la Polexit può non essere necessariamente l’obiettivo del governo, “chi rifiuta il primato dell’UE, di fatto si defila dall’Unione”, ha accusato Weber, che poi ha ringraziato l’ex-presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, per il suo impegno “da patriota europeista” e ha richiamato il Consiglio a “non nascondersi nel silenzio”.
Secondo Iratxe García Pérez (S&D) “la sentenza della Corte Costituzionale polacca ha creato una crisi senza precedenti” e “quando qualcuno minaccia di non rispettare le norme, si mette egli stesso alla porta“. La presidente del gruppo dei socialdemocratici europei ha accusato il governo Morawiecki di seguire una “strada di regresso sui principi democratici ed è infastidito dal fatto che le istituzioni europee glielo ricordino”. Le ha fatto eco il collega polacco Robert Biedroń, che ha biasimato “l’occasione sprecata di riabilitarsi” del primo ministro. Per il gruppo Renew Europe ha preso parola Guy Verhofstadt, veemente nel condannare Morawiecki per aver “politicizzato la Corte Costituzionale e tenuto in scacco il suo popolo, uno dei più europeisti di tutta l’Unione”.
Ska Keller (Verdi/ALE) ha invece biasimato “l’attacco all’essenza stessa dell’UE, che non è solo un aggregato economico”. Per la co-presidente del gruppo dei Verdi/ALE questo è “un test” per la Commissione: “Siamo di fronte a un Paese che mina le nostre basi fondanti e a cui avete già teso la mano. L’offerta è stata respinta, ora dovete adempiere ai compiti attribuiti dal Trattato”, è stato l’invito alla presidente von der Leyen. Sulla stessa linea il co-presidente del gruppo della Sinistra, Martin Schirdewan: “Basta cercare di dialogare inutilmente con un governo che vuole ricevere fondi europei, ma minando le basi dell’UE. Ora va attivato il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto“.
Gli interventi italiani sullo scontro UE-Polonia
Lo schema ‘destre contro tutto il resto dell’arco parlamentare’ si è replicato anche negli interventi delle eurodeputate e degli eurodeputati italiani. “La decisione della Corte polacca è solo l’ultimo affronto in ordine di tempo”, ha ricordato Simona Bonafè (S&D). Dall’attacco all’indipendenza della magistratura, fino alle leggi “contro la libertà di informazione, i diritti della comunità LGBT+ e delle donne”, su cui domani pomeriggio (mercoledì 20 ottobre) si terrà una discussione ad hoc in plenaria. Per l’esponente del Partito Democratico “l’Europa non è un matrimonio di convenienza per avere generosi fondi, ma una comunità che si basa su valori e principi condivisi” e per questo motivo “il Parlamento non è disposto a passare sopra il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali delle persone”.
Sandro Gozi (Renew Europe) ha usato una metafora per spiegare il significato della sentenza: “La Polonia sta sferrando un attacco con il martello pneumatico alla chiave di volta dell’edificio europeo”. Se Bruxelles accettasse un’Europa in cui ognuno prende ciò che preferisce, “ogni Stato diventerebbe membro del nulla, perché non ci sarebbe unità“, ha affondato il segretario del Partito democratico europeo. Per il Movimento 5 Stelle, Laura Ferrara ha denunciato “i toni incendiari” dell’intervento di questa mattina di Morawiecki, che “vanno respinti al mittente”. L’eurodeputata ha esortato la Commissione Europea a “bloccare senza indugio il piano Next Generation EU della Polonia“, perché “i soldi dei cittadini italiani, francesi, spagnoli e tedeschi non possono finanziare i regimi illiberali che calpestano i diritti fondamentali dei cittadini”.
Dalla parte destra dell’emiciclo, sia Raffaele Fitto (ECR), sia Paolo Borchia (ID) hanno sostenuto le ragioni del governo polacco. “È un dibattito surreale, manca di equità di giudizio ed è solo politico”, ha accusato il co-presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, che ha puntato il dito contro le “gravissime ingerenze per cambiare il corso di un governo democraticamente eletto“. Su posizioni simili l’eurodeputato in quota Lega, che ha voluto ribadire quanto affermato dal premier polacco in merito alle norme UE, vincolanti “solo per le materie a cui i Paesi membri hanno delegato poteri a Bruxelles, ma non sulle Costituzioni nazionali”.