Bruxelles – “La social-democrazia, che alcuni avevano dato per liquidata, gode di una salute di ferro”. Il primo Ministro spagnolo Pedro Sánchez suona la carica al 40esimo congresso del Partito Socialista e Operaio spagnolo (PSOE), dove ha incassato un sostegno del 95 per cento alla sua proposta di rinnovamento del gruppo dirigente, e ha fatto il punto sul futuro del socialismo spagnolo ed europeo.
Partito verde e femminista
Nel suo discorso, Sánchez ha rivendicato i successi del proprio governo: legge sull’eutanasia, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, reddito minimo garantito. Il primo Ministro ha anche annunciato che presto proporrà una legge per l’abolizione della prostituzione, definita “una pratica che schiavizza le donne”.
Analizzando il panorama politico nazionale, il leader socialista ha evidenziato come “l’assenza nel Paese di un partito verde non significa che gli spagnoli siano poco interessati all’ambiente. Significa che esiste già un partito verde e femminista: si chiama PSOE”. Tra gli ospiti internazionali, sono intervenuti al congresso socialista anche il segretario del Partito Democratico Enrico Letta e il cancelliere in pectore della Germania Olaf Scholz. Entrambi hanno posto l’accento sull’importanza dell’Unione europea: “non possiamo far fronte alle enormi sfide del XXI da soli con i nostri Paesi, bisogna agire insieme”, ha dichiarato il tedesco.
Come stanno i partiti socialisti europei?
Secondo Sánchez, la riscossa della social-democrazia è ormai evidente in tutta Europa, perché “la ricetta socialista si è dimostrata la più efficace durante la pandemia”. Ma fino a che punto i partiti socialisti (per semplicità considerabili come quelli del gruppo europeo S&D) sono in ripresa? Il successo più evidente dei social-democratici degli ultimi tempi è la vittoria elettorale in Germania. Il trionfo di Scholz non risiede tanto nella performance elettorale (il 25.7 per cento ottenuto è il terzo peggior risultato della storia del partito), ma nell’essere riuscito a porre fine a 16 anni di governo democristiano. L’altro grande Paese governato dai socialisti è appunto la Spagna, dove nonostante una maggioranza risicata Sánchez è saldamente al timone di un esecutivo progressista.
In Italia la situazione è ambivalente: il Partito Democratico è uno dei maggiori azionisti del governo di Mario Draghi e si è da poco affermato nelle elezioni amministrative delle maggiori città, ma continua ad avere sondaggi non entusiasmanti e ad esserci poca chiarezza nella sua relazione con il Movimento 5 Stelle. Negli altri due principali Paesi UE, Francia e Polonia, la situazione per i partiti membri di S&D è invece disastrosa. Oltralpe la candidata socialista Anne Hidalgo è stimata al 5 per cento, al settimo posto tra gli aspiranti presidenti, mentre a Varsavia il partito Lewica è schiacciato tra i sovranisti di PiS e il centrodestra europeista di Donald Tusk. Secondo i sondaggi non supererebbe il 7 per cento.
Tra gli Stati membri più piccoli, i socialisti governano tutti e tre i Paesi nordici, Malta e il Portogallo. Quest’ultimo è probabilmente il Paese europeo in cui i progressisti hanno maggior successo: c’è un governo di minoranza socialista, supportato dall’esterno dai partiti della sinistra radicale. Antonio Costa è tra i presidenti europei con l’approval rating più alto. Più peculiare il caso della Danimarca, dove il governo a guida socialista di Mette Frederiksen ha una posizione piuttosto dura verso l’immigrazione che l’ha portata a votare più volte con i governi di destra dell’Unione europea.
Il confronto con i popolari
La situazione dei partiti socialisti europei è dunque sfaccettata: ottima tra Nord Europa e penisola iberica, tendenzialmente negativa in Europa occidentale, pessima in Europa orientale. S&D non guida nessuno tra gli 11 Paesi dell’est e ha sondaggi positivi solo in Lituania e Romania. Qui, dopo la crisi di governo, il Partito Socialdemocratico è favorito in caso si vada al voto, eventualità ad oggi probabile.
Opposto è il discorso per i popolari, che dopo la sconfitta in Germania guidano solo 8 Paesi, tutti dell’Europa centro-orientale. Lo Stato più popoloso guidato da un membro del PPE è oggi la Grecia. Il Partito Popolare Europeo guida dunque il 30 per cento degli Stati membri, che sommano però solo il 10 per cento della popolazione dell’Unione.
I popolari restano però il gruppo più numeroso del Parlamento europeo ed esprimono la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Inoltre, pur non guidano nessun esecutivo dei “cinque grandi”, i partiti PPE di questi Paesi sono ovunque competitivi, con la sola eccezione di Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi è però l’unico a essere dentro una coalizione di governo. La situazione per i due storici gruppi europei è dunque frammentata e non univoca, ma la crisi in cui era piombata la social-democrazia europea sembra essersi almeno in parte placata.