Sebbene la migrazione italiana verso altre regioni europee abbia radici antiche, l’ondata migratoria degli ultimi dieci anni si è rivelata particolarmente intensa per via di diversi fattori. Tra i più importanti: la crisi economica del 2008, l’aumento esponenziale delle iniziative europee di mobilità internazionale – tra le quali spicca il programma Erasmus+ – ma soprattutto quella che potremmo definire una crisi strutturale della nostra società. La stessa è caratterizzata da quella che il sociologo Giovanni Sgritta definisce come “sindrome del ritardo”.
La migrazione verso un paese ritenuto più meritocratico è, infatti, considerata una valida via di fuga dal ritardo nell’accesso ad un lavoro stabile, oltre che a un’indipendenza abitativa e personale. Secondo la Fondazione Migrantes, in particolare, le tre destinazioni europee preferite dagli italiani negli ultimi anni sono state Germania, Francia e Regno Unito.
E’ importante sottolineare come oggi le migrazioni non siano più a carattere permanente come in passato, bensì spesso temporaneo o quantomeno circolatorio. Questo implica persone capaci di mantenere rapporti professionali e amicali in Italia, sviluppandone al contempo di nuovi nel paese in cui si sono trasferite. Ciò è possibile grazie alla progressiva democratizzazione del trasporto aereo, che trasforma i progetti migratori in integrazioni elastiche, con un conseguente assottigliamento dei confini.
Confindustria stima che la ben nota “fuga di cervelli” dell’ultimo decennio costi all’Italia circa 14 miliardi euro l’anno. Incredibilmente, però, la pandemia di Covid-19 sembra essere riuscita dove anni di incentivi avevano fallito nell’invertire questa tendenza: secondo il Ministero degli esteri, nel 2020 il numero di cittadini italiani fra i 18 e i 34 anni in Italia è aumentato del 20% rispetto al 2019. A questo proposito Paola Pisano, ministra per l’Innovazione Digitale nel governo Conte II, ha sottolineato come, per la prima volta, “l’Italia abbia la possibilità di approfittare delle abilità e delle innovazioni di questi lavoratori che tornano dall’estero”. Ora si tratta di “convincere queste persone a restare”, in modo da poter beneficiare della rilevante crescita economica che questo comporterebbe.
Inoltre, per quanto riguarda il tema dell’uguaglianza di genere, la Ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti ha espresso l’importanza di una “rivoluzione culturale che parte dal basso”. Con queste parole la Ministra vuole esprimere il fatto che l’uguaglianza di genere va assunta come obiettivo strategico e investimento nel quadro dei 191,5 miliardi di euro destinati all’Italia dall’Unione europea per far ripartire il paese. In particolare, le azioni dovrebbero essere concentrate sul lavoro femminile nel Sud Italia, il settore infanzia e digitale, su azioni di fiscalità agevolata, e sulla valorizzazione dello studio delle materie STEM. L’impatto del Covid-19 ha comportato, infatti, un elevatissimo tasso di disoccupazione femminile, aggravando così il quadro di un gap economico e sociale già presente da tempo.
Durante la pandemia è cambiato inoltre radicalmente il modo di concepire l’equilibrio casa-lavoro: la maggior parte delle persone lavora ora in smart-working. A questo proposito si può citare la brillante iniziativa di Elena Militello, ragazza emigrata all’estero tornata in Italia a seguito della pandemia, che ha fondato “South Working – Lavorare dal Sud”. Con lo slogan “Perché lavorare da dove desideri fa bene a te e ai territori”, Militello e il suo team vogliono esprimere la possibilità di tornare dall’estero – o dal Nord Italia – per ripopolare il Sud del Paese e ridurre il divario sociale e territoriale.
Non possiamo purtroppo prevedere se i fondi del Next Generation EU, insieme ad altri nuovi fattori lavorativi, economici e sociali, saranno sufficienti a trattenere il capitale umano rientrato a seguito del Covid-19. Quello che sappiamo con certezza, però, è quanto impegno, attenzione e ascolto alla voce dei giovani saranno necessari da parte del nostro Paese per far sì che questo avvenga.