Bruxelles – Alla fine l’accordo è arrivato. Tra entusiasmi e qualche incredulità 136 stati dell’OCSE, cioè tutti meno Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka hanno deciso che le grandi aziende mondiali devono pagare un minimo di tasse: il 15 per cento. Molti dettagli devono ancor arrivare, ma è l’inizio di una nuova epoca che tra l’altro corona la fine di questo anno di G20 presieduto dall’Italia.
In Europa tre Paesi hanno resistito sino alla fine, per motivi diversi ma tutti legati alle proprie realtà economiche. Ricevute rassicurazioni su ambito di applicazione e tempi di introduzione delle nuove regole, anche Irlanda, Estonia ed Ungheria hanno accettato. “La grande riforma del sistema fiscale internazionale è stata definitivamente concordata, garantirà l’applicazione di un’aliquota minima del 15 per cento per le multinazionali (che fatturano oltre 750 milioni di euro, ndr) a partire dal 2023”, spiega l’OCSE in una nota.
Dunque l’Unione europea in blocca ha firmato, e ne è felice il commissario all’economia Paolo Gentiloni, che saluta l’intesa in un tweet:
Evviva! Raggiunto l’accordo per la tassazione minima e per redistribuire i proventi delle tasse dove le multinazionali fanno profitti e non dove stabiliscono le loro sedi. Orgoglioso del sostegno dei paesi Ue. #GlobalTaxRefotm
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) October 8, 2021
In base ai calcoli dell’OCSE la nuova imposta farà incassare agli Stati 150 miliardi di dollari l’anno. In base alle regole che saranno introdotte per la redistribuzione dei profitti, al fine di tutelare i Paesi più deboli, 125 miliardi di dollari saranno tassati nei Paesi in cui le grandi società hanno entrate ma hanno una limitata presenza fisica.