Strasburgo – L’Europa di oggi, l’Unione di domani. C’è chi è arrivato a Strasburgo senza grandi aspettative, chi invece di aspettative ne ha tante e teme che vengano deluse. Anche il terzo panel della Conferenza sul futuro dell’Europa (dal primo al tre ottobre) – dedicato a clima, ambiente e salute – riunisce nella capitale alsaziana 200 cittadini europei provenienti dai ventisette Stati membri, scelti casualmente per fissare le sfide dei prossimi decenni.
Tutti diversi, come diverse sono le loro idee di come dovrebbe essere l’Europa di domani: c’è chi ha già in mente proposte concrete, chi all’arrivo ancora non sa bene cosa aspettarsi, chi non è soddisfatto a pieno di come questi incontri sono stati organizzati. Per 72 ore l’Emiciclo del Parlamento Europeo si trasforma in un luogo di incontro e dibattito tra un gruppo di cittadini molto eterogeneo per provenienza geografica, età, formazione e occupazione. Di questi, 22 arrivano dall’Italia, alcuni di loro hanno condiviso con noi le loro richieste e le loro aspettative. Diversi sotto tanti aspetti, ma in comune hanno tutti una cosa: la richiesta che l’Europa li ascolti.
Uniti nella diversità
Si fanno proposte concrete, si toccano temi veri, attuali e che a volte riguardano tutti Paesi e altre invece non fanno che sottolineare una grande distanza tra gli Stati membri, non soltanto geografica. E forse è proprio questo il valore aggiunto di questa Conferenza, restituisce l’unità a una Europa frammentata sotto molti punti di vista. “E’ una bella iniziativa quella di coinvolgere i cittadini, portarli a conoscenza di varie tematiche dell’Unione Europea, proprio perché ci sono tanti Stati diversi e distanti tra loro, spesso si perde il concetto di unità dell’Europa”, osserva Caterina, cinquantaseienne che lavora come assistente amministrativa in una scuola.
Chiamata a partecipare alla Conferenza appena una settimana fa, ha deciso di portare con sé al panel la figlia, Gioia Maria, quindicenne, che a Strasburgo arriva solo come osservatrice perché sotto la soglia minima consentita per partecipare (16 anni). Mamma e figlia arrivano dall’Umbria, Caterina ha deciso di finanziare a spese proprie il viaggio della ragazza per permetterle di partecipare credendo nell’intento formativo di questa iniziativa, soprattutto per i giovani che di Europa sanno e conoscono poco. “Credo che sia una esperienza formativa molto bella per i ragazzi, per la conoscenza linguistica e per il modo in cui possono confrontarsi con altre culture”, ci dice Caterina, augurandosi che la Conferenza possa cambiare le cose.
Un esperimento di democrazia partecipativa ancora in fieri che per ora non ha precedenti per l’Unione Europea. I 200 cittadini, divisi in 15 sottogruppi (otto per l’ambiente e sette per la salute) hanno spaziato dalle più preoccupanti forme di inquinamento, alla possibilità di sviluppare una sanità centralizzata a livello europeo, alla prevenzione e agli stili di vita sani, per finire a discutere delle emissioni di gas serra prodotte in agricoltura. I temi sono tanti e generici, ma nelle pause caffè, nei corridoi e anche nei lavori in sottogruppi più “intimi” si parla tanto anche del valore dell’unità europea, e nessuno la mette in discussione. “Siamo consci di questa unità se pure arriviamo tutti da realtà molto diverse, perché di questo anche si parla molto” nei gruppi di lavoro: “di quanto siano diversi gli Stati membri con le loro particolarità e differenze e con i loro problemi, ma che in comune devono avere una visione unitaria per cercare di risolverli”, conclude Caterina.
L’Europa di oggi, l’Unione di domani
Tra i 200 cittadini scelti casualmente, un terzo sono selezionati tra i 16 e i 25 anni, per dare alle nuove generazioni il modo di dire la propria su quali dovrebbero essere le priorità dell’Europa di domani. A chi il progetto europeo non l’ha visto nascere e crescere, ma ci è cresciuto già dentro e per cui l’Europa è ormai “una cosa naturale” sebbene ancora imperfetta.
Tutti i partecipanti vengono accolti con la domanda “Cosa pensi dell’Europa di oggi e a cosa aspiri per quella di domani”, ci racconta un’altra ragazza, venticinquenne calabrese che studia a Roma. Gli viene chiesto di disegnare come si immaginano l’Europa al 2050. “Europa più verde, meno inquinamento, meno plastica, più solidarietà ma anche valorizzare la diversità tra gli Stati membri”, sono le priorità per il futuro che emergono più diffuse nelle prime ore di dibattito. Pur volendo rimanere anonima, si dice contenta di essere stata selezionata, anche perché “molti di noi non credevano proprio in questo progetto, invece alla fine è stato realizzato ed è interessante perché ti senti importante a dire la tua, per la prima volta sei coinvolto”.
Lavori ristretti in sottogruppi, ma nel corso del weekend si susseguono anche alcuni momenti di plenaria, in cui i partecipanti hanno potuto ascoltare gli esperti dei vari argomenti e porre loro domande o avanzare proposte. Tra i ragazzi, c’è già chi è in prima fila per fare proposte e candidarsi tra i venti “ambasciatori” che porteranno le voci di tutti all’attenzione di Bruxelles.
Come Vincenzo, 18 anni in arrivo da Cosenza, che parlando di salute e prevenzione ha proposto di introdurre la figura del nutrizionista nelle scuole a titolo gratuito che “possano indirizzare i più giovani a uno stile di vita e alimentare più sano”, racconta a Eunews. Necessario “sensibilizzare maggiormente su questi argomenti” come l’ambiente e la salute “soprattutto tra i più giovani inserendo più ore scolastiche dedicate”, osserva. Per lui non è solo un momento di crescita professionale, lo è soprattutto dal punto di vista umano. E’ il suo “primo vero viaggio da solo”, ma “ho subito incontrato ragazzi della mia età e abbiamo formato un bel gruppo di persone, provenienti anche da altri Paesi”, come Romania e Spagna. Entrare per la prima volta nell’Emiciclo di Strasburgo e occupare il posto degli eurodeputati “è stata un’emozione fortissima”, confida. Fiducioso che qualcosa per il futuro dell’Europa possa migliorare, “le cose stanno cambiando dall’interno”, ci dice.
E’ fondamentale “il fatto che stiano cercando di dare voce a noi cittadini”, concorda anche Antonio, 17 anni, anche lui è partito venerdì da Cosenza per raggiungere la città francese. “Sto apprendendo cose che prima non sapevo, il mio bagaglio personale si accresce ma soprattutto ho l’occasione di dire la mia con questo sistema di lavori di gruppo”. A livello di panel si respira una bella atmosfera “c’è comunicazione tra di noi, anche se proveniamo da Stati diversi con lingue diverse”. Per superare la barriera linguistica, le Istituzioni mettono a lavoro costantemente nelle sessioni dei panel, dalla plenaria ai sottogruppi, l’interpretazione simultanea delle 24 lingue dell’Unione Europea, per consentire a tutti di non perdersi neanche una parola di ciò che viene detto. “Il lavoro che fanno gli interpreti è incredibile“, aggiunge Antonio.
“L’Europa ci ascolti”
L’Unione Europea è i suoi cittadini e “quindi è giusto sentire da loro cosa va e cosa non va”, sintetizza Federica, anche lei appena maggiorenne. Viene da Sanremo, è all’ultimo anno di liceo economico e sociale e poi pensa di trasferirsi a Bologna per studiare criminologia. Ad essere selezionata era stata la madre, che per impegni di lavoro non ha potuto partecipare e le ha lasciato il posto. Pone l’accento sulla necessità di informare più e meglio i giovani sulle tematiche europee e affini, “spesso non sono informati, e se lo sono” è per vocazione personale o merito delle loro famiglie. “Tutti i Paesi, tutte le scuole dovrebbero informare di più i ragazzi”, evidenzia, tra le cose. Lei, ad esempio, di questa Conferenza sul futuro dell’Europa non sapeva nulla prima che la madre ricevesse la chiamata, e così anche tanti altri suoi coetanei.
Ed è soprattutto tra i più giovani che si radicano i primi timori che questo esercizio molto bello e molto democratico a parole, si traduca in concreto in un nulla di fatto. C’è chi lamenta un tono troppo interlocutorio dell’incontro, chi si domanda quali saranno in concreto i risultati di Conferenza, se le loro istanze avranno anche un seguito politico. Per qualcuno il processo della Conferenza “pensa troppo in grande”, bisognerebbe prima partire dai problemi che singolarmente riguardano gli Stati membri e poi pensare alla visione d’insieme. “Speriamo che sia una cosa produttiva, che i nostri dibattiti portino davvero a dei risultati”, si augura Filiberto, da pochi mesi laureato in scienze motorie che avrebbe preferito finire nel primo panel della Conferenza dedicato a economia, giustizia sociale, lavoro, istruzione alla gioventù, cultura, sport e trasformazione digitale. Ma molti di quelli che all’inizio non credevano in questo processo, ora che si è materializzato ci credono e ci sperano. Alle Istituzioni il compito di non deluderli.