Bruxelles – Come la Polonia, come l’Ungheria. Non c’è alcuna differenza nella richiesta della Lituania di legalizzare i respingimenti dei migranti alla frontiera, rispetto alle posizioni dei due governi spesso al centro di polemiche per il mancato rispetto dello Stato di diritto. La proposta è arrivata dalla ministra degli Interni lituana, Agnė Bilotaitė, in prima linea da mesi per spingere l’Unione a cambiare le proprie regole sul fronte della migrazione e dell’asilo: “È ora di capire che le barriere fisiche sono una misura necessaria“.
Il governo di Vilnius sta cercando di forzare la mano per rispondere alla “guerra ibrida” scatenata dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko (come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles), e che si sta concretizzando nell’agevolare il flusso irregolare di migliaia di persone migranti verso le frontiere dell’UE. “Quando c’è una situazione estrema, i Paesi membri hanno il diritto di impedire l’ingresso illegale dei migranti“, ha tuonato la ministra.
Secondo quanto riporta un comunicato stampa del governo lituano, dall’inizio del 2021 sono state presentate 2.804 domande di asilo al dipartimento per la Migrazione, mentre 2.576 persone sono state respinte. Da metà luglio la Lituania sta costruendo una barriera di filo spinato lungo il confine con la Bielorussia e lo stesso ha iniziato a fare anche la Polonia da fine agosto, dopo l’aumento esponenziale di tentativi di accesso nei due Stati membri UE. Nella pratica si tratta di pushback, respingimenti di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea. Sono pratiche illegali, secondo le regole comunitarie.
“Al momento le istituzioni europee sostengono solo l’introduzione di sistemi di sorveglianza delle frontiere, ma non si parla di alcuna barriera fisica”, ha continuato Bilotaitė. “Se necessario, le barriere fisiche devono essere rese obbligatorie, costruite e finanziate con fondi europei, perché non è solo un problema dei singoli Stati membri”, ha aggiunto, ribandendo le richieste di fine luglio a Bruxelles. La ministra ha confermato che la proposta della Lituania di legalizzare i respingimenti di migranti sarà presentata durante il prossimo Consiglio Affari Interni a Bruxelles: il Paese è alla ricerca di alleati per creare una coalizione favorevole al cambiamento delle regole europee sulla migrazione e l’asilo in senso più restrittivo, “solo in situazioni estreme”.
I probabili alleati della Lituania
È stata la stessa ministra Bilotaitė a indicare nella Polonia un perfetto partner per accelerare la revisione della politica migratoria dell’Unione, che prenda in considerazione il rischio delle minacce ibride: “Dobbiamo lavorare fianco a fianco per garantire che i Paesi membri possano proteggersi quando sono sotto un attacco ibrido”, ha spiegato dopo un confronto con il suo omologo polacco, Mariusz Kamiński. Proprio Varsavia ha dichiarato lo stato di emergenza lo scorso 2 settembre lungo tutto il confine con la Bielorussia e due settimane più tardi il Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) ha adottato un disegno di legge che autorizza i respingimenti. Un supporto alla causa lituana sembra abbastanza scontato, così come quello di Lettonia (finora solo parzialmente coinvolta dal flusso in crescita dalla Bielorussia) ed Estonia (che aveva firmato una dichiarazione congiunta con gli altri tre capi di governo).
Quasi sicuramente la Lituania troverà una sponda per legalizzare i respingimenti di migranti anche nell’Ungheria di Viktor Orbán. Il governo di Budapest è noto sia per aver voluto la costruzione di una barriera lungo la frontiera nel 2015 (per impedire l’arrivo di migranti dalla rotta balcanica sul suolo nazionale), ma anche per essere stato deferito alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione della direttiva sulle procedure di asilo appena due mesi fa. Nonostante in questo caso la questione è legata al quadro delle norme transitorie e di preparazione epidemiologica in risposta all’emergenza COVID-19, anche per Budapest il fulcro della controversia riguarda i pushback.
Secondo quanto previsto dalla legge ungherese del 17 giugno 2020, prima di poter richiedere la protezione internazionale, i cittadini di Paesi terzi in arrivo sul confine ungherese vengono respinti e indirizzati presso un’ambasciata al di fuori del territorio comunitario, dove eventualmente possono presentare domanda di asilo. Tuttavia, l’articolo 6 della direttiva UE sulle procedure di asilo impone agli Stati membri di garantire ai cittadini extra-comunitari e agli apolidi che si trovano nel loro territorio – frontiere comprese – di poter esercitare “in modo effettivo” il diritto di richiedere la protezione internazionale. Il 30 ottobre dello scorso anno la Commissione Europea aveva deciso di avviare una procedura di infrazione contro l’Ungheria per queste misure reiterate.