Bruxelles -“Un colpo nella schiena”, colmo di “doppiezza, disprezzo e bugie”. Jean Yves Le-Drian non ha utilizzato mezzi termini per riferirsi alla nascita di AUKUS, nuovo sodalizio strategico tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti. Poco dopo, l’annuncio che Parigi avrebbe ritirato i suoi ambasciatori da Washington e da Canberra. Per il ministro si tratterebbe addirittura di una potenziale “crepa” nel fronte dell’alleanza atlantica. L’ultima battuta di quel rapporto travagliato che l’ex presidente francese François Mitterand aveva definito una “guerra permanente e non conosciuta”.
AUKUS: l’Unione europea fuori dall’Indo Pacifico
L’accordo AUKUS prevede di fornire alle forze armate di Canberra una flotta di sottomarini a propulsione nucleare, insieme a nuovi missili balistici e allo stanziamento (pare) di unità navali americane nei porti del paese. L’ira francese nasce dal fatto che il governo di Parigi era già in trattative (quasi ultimate) per vendere alla marina australiana una gigantesca commessa di dodici sottomarini Diesel, per un costo stimato di 90 miliardi di dollari australiani.
Una beffa a cui si aggiunge un danno economico non irrilevante, considerate le recenti delusioni per il mancato acquisto di fregate francesi da parte di Marocco, Indonesia e Egitto – tutte gare dove la francese Naval Group si è vista preferire la versione italiana prodotta da Fincantieri. Lo stesso gruppo navale italiano, tuttavia, potrebbe essere stato tra le vittime (inconsapevoli) di AUKUS. Nel giugno scorso Fincantieri e Novantia (gruppo spagnolo) furono sorpassate dall’inglese BAE Systems nella gara da 23 miliardi di euro per la costruzione di nove fregate multiruolo proprio per la marina australiana.
Al netto dell’aspetto finanziario, emerge una certa volontà dell’amministrazione americana di affidare il dossier ad alleati più affidabili degli Europei. Come ha ribadito pochi giorni fa l’Alto rappresentante Josep Borrell durante la presentazione della Strategia UE per l’Indo Pacifico “gli Americani sembrano di non fidarsi di noi quando devono portare avanti i loro interessi, in questo caso verso la Cina”. E’ facile immaginare che il documento, soluzione compromissoria che non prende una chiara posizione anticinese, possa essere stato giudicato troppo morbido nei dicasteri americani. Nè Borrell nè altri rappresentanti degli Stati membri UE erano stati informati delle trattative per la nascita di AUKUS.
La strategia USA
La sfiducia tra le due sponde dell’Atlantico non nasce oggi. Tredici Stati membri dell’Unione hanno ufficialmente aderito al progetto della Nuova via della seta cinese (BRI). Soprattutto l’accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina (CAI), firmato durante il travagliato passaggio di consegne tra la presidenza di Donald Trump e quella di Joe Biden, è stato visto negli States come un colpo basso mentre gli occhi del paese erano rivolti sulla crisi interna. Sia la BRI che il CAI sono di fatto congelati ed è probabile che lo rimangano per sempre, ma rimane da parte americana la percezione che sugli Europei si può contare poco.
La strategia americana è chiara. Washington conosce bene le reticenze degli alleati a inimicarsi il proprio partner commerciale più importante e per questo intende gestire il contenimento cinese per altri tramiti. Nello specifico, una serie di alleanze a geometria variabile che coinvolgano quei paesi che hanno già fatto una chiara scelta di campo: AUKUS, il QUAD, Five Eyes, cooperazioni bilaterali con Corea del Sud e Taiwan, probabilmente nei prossimi anni nasceranno nuove sigle. Occasionalmente si potrà fare affidamento sulla presenza delle marine europee nella regione, ma si tratta di un contorno.
AUKUS non cancella l’alleanza atlantica
La Francia è l’unico dei 27 ad essere paese residente nella regione indopacifica grazie ai suoi territori d’oltremare. Già dotata di una strategia per l’Indo Pacifico dal 2018 e promotrice del documento redatto in sede UE, Parigi si sente tradita dall’accordo anglosassone. AUKUS però non esclude ulteriori commesse da parte francese per l’Australia – possibili alla luce dei lunghissimi tempi di consegna dei nuovi sottomarini nucleari. Joe Biden ha ribadito che la cooperazione con l’Eliseo è irrinunciabile. Intanto però l’amministrazione ha deciso di punire un alleato che parla fin troppo spesso di “autonomia strategica” e del superamento della NATO – addirittura in stato di “morte cerebrale” secondo una dichiarazione di Emmanuel Macron del 2019.
La dipendenza dei 27 (Francia compresa) dalla protezione dell’alleanza americana farà in modo che lo strappo non diventi frattura. Le occasioni per riparare nel breve periodo non mancheranno e c’è da aspettarsi qualche concessione da Washington, ad esempio lasciare che la Francia venda tecnologie militari alla Corea del Sud. Il governo francese ha annunciato che “nei prossimi giorni” Emmanuel Macron parlerà al telefono con Joe Biden sulla questione, nell’attesa del G20 che si terrà tra poco più di un mese a Roma.
Sul fronte europeo, Josep Borrell – contrariato quanto il presidente francese di non essere stato informato di AUKUS – è a New York per la 76a sessione dell’assemblea generale delle Nazioni unite. Borrell, che resterà negli USA fino al 24 settembre, parteciperà ad una riunione a margine dei lavori dell’assemblea per discutere i recenti sviluppi. Far rientrare la crisi nel più breve tempo possibile è di prioritaria importanza per l’UE, che con un veto francese faticherebbe a portare avanti i negoziati per l’accordo commerciale con l’Australia che si attendeva per la fine dell’anno.
E’ consuetudine che in occasione dei lavori dell’Assemblea delle Nazioni Unite i ministri degli Esteri tengano riunioni tra loro. Date le circostanze è fuori ogni dubbio che “il tema verrà sollevato”, riconosce il servizio dei portavoce della Commissione europea. La questione riguarda i rapporti con gli Stati Uniti e sarà trattato a livello di Stati membri dell’UE, a dimostrazione delle difficoltà dell’Unione a trovare una posizione comune in politica estera. Quanto alle relazioni con l’Australia, a Bruxelles ricordano che in occasione dell’ultimo round negoziale per un accordo di libero scambio (1-11 giugno) le due parti hanno convenuto di darsi appuntamento per ottobre. Al momento non cambia nulla, anche se si sta esaminando se e quanto il comportamento della controparte australiana porà avere ripercussioni.