Bruxelles – Cinquantasette minuti di ordinaria amministrazione, un’ora a disposizione per un intervento mai sopra le righe, ingessato perché povero di contenuti innovativi. Ursula von der Leyen delude le attese, consideranto il modo in cui la presidente della Commissione le aveva alimentate, con un massimo riserbo sull’intervento, le mancate conferenze stampa degli altri membri del collegio per non bruciare il momento della verità, quello in cui la presidente dell’esecutivo comunitario avrebbe dovuto spiegare come vede il futuro del progetto comunitario.
L’intervento in Aula non aiuta a chiarire questo punto. Il discorso sullo Stato dell’Unione è una lista delle cose fatte, e un elenco delle cose da fare lungo rotte già tracciate. Intenzioni, direzioni, a cui non si accompagna alcuna spiegazione su come si intende agire all’atto pratico. Von der Leyen ricorda quanto già detto in questo ultimo anno. Serve investire nelle nuove tecnologie, “nel 5G, nella fibra e soprattutto nella formazione digitale”. Non una novità. Insiste sulla transizione sostenibile, e anche in questo frangente non offre nulla di più ad un dibattito già avviato e su cui in Europa sono tutti d’accordo, almeno in linea di principio.
Prende applausi e anche l’apprezzamento di qualche europarlamentare seduto tra i banchi dell’opposizione quando cita il fondo sociale per il clima, uno strumento di mitigazione degli effetti collaterali del passaggio alla nuova era verde. Una proposta del 14 luglio, e dunque nessuna novità.
Avverte che “il tempo del COVID non è finito”, ricorda l’importaza di vaccinarsi. Rivendica, a giusto titolo, quanto fatto dalla Commissione, l’importanza di aver evitare corse al vaccino tra Stati attraverso una cabina di regia criticata ma comunque in grado di gestire una crisi sanitaria senza precedenti. Annuncia che “la Commissione aggiungerà una nuova donazione di altre 200 milioni di dosi entro la metà del prossimo anno” per il resto del mondo, perché nel mondo, “meno dell’1 % delle dosi è stato somministrato nei paesi a basso reddito”. Numeri da cui “si coglie in modo evidente la portata dell’ingiustizia e il livello dell’urgenza”.
Nel concreto von der Leyen non affonda e non sfonda. E’ brava a strappare gli applausi di rito, ma non mostra mordente. Accusa gli Stati di non voler trovare un accordo sull’immigrazione. Ricorda che la Commissione ha messo sul tavolo una proposta, il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, che “mette a disposizione tutto ciò di cui abbiamo bisogno per gestire i diversi tipi di situazione che dobbiamo affrontare”, ma che dopo un anno non ci sono progressi. invita a fare in fretta, in una ripetizione di esortazioni già sentite.
Quindi, toccando il tema afghano dalle implicazioni migratorie, ribadisce che la linea è “sostenere tutti gli afghani che si trovano nel loro Paese e nei paesi vicini“, e che per questo “aumenteremo gli aiuti umanitari per gli afghani di 100 milioni di euro. E’ l’Europa della solidarietà che si arrocca su sè stessa, che si chiude, è la Commissione che può poco di fronte a competenze e poteri che non ha e che dunque non osa.
Dal discorso sullo Stato dell’Unione esce l’immagine di una Commissione con poche idee nuove e ancor meno iniziative degne di nota. I massimi elementi di novità annunciati da von der Leyen sono la proposta di fare del 2022 l’anno europeo dei giovani, poiché “i più colpiti dalla crisi sanitaria”, il tour nella regione del Balcani occidentale “entro fine mese” per rivitalizzare il processo di adesione. “Investire nei Balcani occidentali vuol dire investire nel futuro dell’Europa”, sottolinea. C’è poi la proposta di “bandire dal nostro mercato i prodotti ottenuti con il lavoro forzato”. Tutto qui. Non è una novità nemmeno la proposta di legge per la lotta contro la violenza sulle donne, che vale comunque il plauso dei socialisti.
Il discorso di von der Leyen risulta vuoto, a tratti noioso per via della ripetitività di un’agenda politica già definita. La presidente della Commissione non la sviluppa, forse perché le elezioni tedesche impediscono ogni ragionamento. La prossima settimana in Germania nascerà l’era post-Merkel. Lecito immaginare che la tedesca alla testa dell’esecutivo comunitario su volere della cancelliera uscente non voglia spingere troppo sull’acceleratore. Ma è proprio questo che le viene rimproverato.
Il più duro è forse il capogruppo dei liberali, Dacian Ciolos (RE). La rimprovera di tergiversare sullo Stato di diritto e sul clima. “Ascolto le sue parole ma non vedo le sue azioni“, critica. “Spende più tempo in sforzi diplomatici col Consiglio che a lavorare con noi” su questi temi. Quindi avverte: per il comportamento di Polonia e Ungheria “se non dimostra coraggio, le ricorderemo quali sono i suoi doveri”. C’è una parte del Parlamento pronto a mettere sotto accusa il team von der Leyen.
I socialisti rimproverano “la carenza di proposte legislativa a tutela della biodiversità”. La capogruppo Iraxtze Garcia Perez pretende di “rafforzare il pilastro sociale, con obiettivi chiari” che von der Leyen ha omesso nel suo intervento. Mentre i Verdi contestano la pochezza di una Commissione che pretende di essere geopolitica senza averne capacità e mezzi economici. “Dopo l’umiliazione in Russia, e l’umiliazione in Turchia, adesso assistiamo a quella per mano degli Stati Uniti in Afghanistan”, rimprovera il co-presidente del gruppo Philippe Lambertz. Critica l’incapacità di essere globale con i Paesi chiave dello scacchiere internazionale, di aver fatto troppo affidamento sul nuovo presidente degli Stati Uniti, e di aver risparmiato. “Servono più risorse” per la dimensione esterna.
I Conservatori europei (ECR) interpretano chiaramente il loro ruolo di opposizione, ma ha ragione Raffaele Fitto nel sostenere che sugli elementi più scottanti von der Leyen è mancata. “Ho ascoltato il suo discorso, non ho sentito una parola sul Patto di stabilità, il vero elefante nella stanza”. Le regole di bilancio europeo devono essere discusse, ma la Commissione ancora non ha prodotto alcuna proposta. Su questo anche i socialdemocratici fanno pressione. “Serve il coraggio di archiviare prima di tutto la stagione dell’austerity e delle sue regole con un´ampia riforma del nostro sistema di governance economicaBasta all’Europa dell’austerità”, incalza l’europarlamentare del PD, Simona Bonafè. Ancora una volta si rimprovera l’assenza di spirito. La capodelegazione del Movimento 5 Stelle, Tiziana Beghin, fa altrettanto quando invita a “trasformare il Patto di stabilità e crescita in Patto di Solidarietà e Sviluppo”.
Von der Leyen non entusiasma. Viene ripresa persino dai ‘suoi’, dal PPE. Manfred Weber ritiene che manchi del lavoro in materia di giustizia. “Perché non fare di Europol la nostra FBI europea?”. Si chiede dopo un’ora passata ad ascoltare parole riciclate, la rivisitazione di un’agenda già nota. Von der Leyen è venuta in Aula a chiedere un cambio di passo per l’Europa, non a proporlo. Per questo il suo discorso sullo Stato dell’Unione delude le attese.