Da mesi nei corridoi del Parlamento europeo l’ipotesi correva e correva sempre più veloce: Manfred Weber non sarà il candidato dei popolari a sostituire David Sassoli alla guida del Parlamento europeo per la seconda metà di questa legislatura, dal prossimo gennaio. E, se non sarà lui, ecco che per l’italiano si spalanca la possibilità di restare sulla scranno più alto altri due anni e mezzo.
Le ragioni sono molte: vanno dal generale apprezzamento che Sassoli ha raccolto in questi primi due anni di lavoro (riuscendo anche a non entrare in conflitto con il potente segretario generale, il popolare Klaus Welle), al fatto che senza la presidenza del Parlamento ai socialdemocratici europei non sarebbe assegnata nessuna carica tra le tre principali nell’Unione, al fatto che gli equilibri nei governi europei non sono più quelli del 2019, alla mancanza, per il PPE, di un candidato alternativo a Weber che sia un peso massimo, ed anche a qualche questione interpretativa sull’accordo di alternanza tra S&D e PPE.
E c’è poi il fatto che dalla sua elezione in poi Sassoli ha fatto poco il presidente del Parlamento: la pandemia ha occupato l’Europa ed il Mondo, dunque l’attività legislativa, che pure è andata avanti, è stata molto ridotta, e quella politica ancor di più. I vertici internazionali sono stati cancellati, rinviati, e dunque il mandato svolto non è stato “pieno”, osserva qualcuno, ma è stato oscurato dal COVID, la cui gestione, facendo in modo che il Parlamento restasse operativo, è stata forse il principale impegno di questi due anni di Sassoli.
Il presidente italiano è riuscito a non farsi nemici in questi anni, ed anzi, ha stretto un ottimo rapporto con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il cui peso politico nel PPE di fatto aumenterà con l’uscita dalla cancelleria di Angela Merkel, che fu la “grande elettrice” di Weber come presidente della Commissione europea, ma che fallì nella missione. L’accordo con i socialdemocratici fu dunque di eleggere uno dei loro alla guida del Parlamento per la prima parte della legislatura, e di assicurare a Weber la seconda parte. Qualcuno spiega che l’accordo fu leggermente diverso da quelli delle legislature precedenti, nelle quali l’alternanza era tra S&D e PPE, e che questa volta ci si sarebbe accordati per un passaggio da “un S&D a Weber”, cioè l’indicazione sarebbe stata precisa sul nome del tedesco, e dunque, venuto meno lui (che pure rivendica il posto per un popolare), l’intesa non ci sarebbe più.
Sia come sia, Weber, per la seconda volta dopo lo smacco della presidenza della Commissione, ha forse capito di non avere i numeri per diventare il leader del Parlamento, ed ha deciso di giocare un’altra partita, che passando per la presidenza del PPE al posto di Donald Tusk, lo possa portare a prestigiosi lidi magari nella prossima legislatura europea.
In questi poco più di due anni è poi successa un’altra cosa che avvantaggerebbe una permanenza di Sassoli sullo scranno più alto: gli equilibri in Europa sono cambiati, e se la CDU perdesse la guida del governo tedesco, ecco che nessun grande Paese avrebbe una guida popolare. Nei prossimi mesi potrebbe esserci un socialista a Berlino, con uno a Madrid, uno in Portogallo, un altro in Svezia, un liberale a Parigi, un tecnico a Roma, un populista in Polonia… Ai popolari restano, tra i Paesi non troppo piccoli, solo Austria e Grecia. Un po’ poco per rivendicare due delle tre principali cariche europee, soprattutto se si perdesse la Germania.
E poi c’è il problema del candidato. In Parlamento non si fa mistero del fatto che nei mesi scorsi, quando come detto già si prevedeva un abbandono di Weber, il nome alternativo e vincente era quello di Mairead McGuinness, l’irlandese stimata da tutti, come dimostra anche il fatto che è diventata, con quasi unanime sostegno parlamentare, commissaria europea per i Servizi finanziari, al posto di Phil Hogan, esattamente un anno fa.
In Parlamento si raccolgono nomi di possibili altri candidati popolari. C’è la giovane maltese Roberta Metsola in prima fila, ma sembra essere una candidatura divisiva, anche nel suo partito. C’è un’altra donna olandese, un uomo spagnolo, ma non colpiscono come nomi che possano partire “vincenti”. Perdenti di lusso però sì.
E dunque ecco, capacità personali (come il forte sostegno ad dibattito interno sul futuro del Parlamento, parallelo ma non alternativo alla Conferenza sul futuro dell’Europa) che si mischiano a situazioni oggettive possono, di fatto, aprire ad un secondo mandato per Sassoli e per i socialdemocratici europei. Sapremo a breve come andrà a finire.