Bruxelles – Più del settore farmaceutico, dei combustibili fossili, della finanza e della chimica. L’industria digitale ha superato le tradizionali potenze in ambito lobbistico ed è diventata il primo gruppo di pressione sulle politiche delle istituzioni europee. Lo ha rilevato lo studio The Lobby Network – Big Tech’s web of influence in the EU, pubblicato dalle organizzazioni no-profit Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol.
Google, Facebook e Microsoft guidano un plotone di 612 aziende, gruppi e associazioni di imprese della sfera digitale che spendono oltre 97 milioni di euro all’anno per fare pressione sulle istituzioni dell’UE. Lo studio definisce però “profondamente squilibrato” l’universo di attori che operano in questo ambito: quasi un terzo della spesa totale della lobby tecnologica è concentrato nelle mani di dieci aziende (32 milioni di euro). Oltre alle tre Big Tech – che spendono oltre 5 milioni all’anno ciascuna – ci sono anche Apple, Huawei, Amazon, IBM, Intel, Qualcomm e Vodafone. A investire in modo sistematico sono soprattutto le aziende dalla sponda opposta dell’Atlantico: una su cinque ha sede negli Stati Uniti, mentre meno dell’1 per cento in Cina o ad Hong Kong.
Questo enorme budget messo in campo dai colossi digitali ha un impatto significativo a livello comunitario. Un esempio è quello fornito dall’attività di lobbying sulle proposte della Commissione Europea per regolamentare i mercati e i servizi digitali (il Digital Markets Act e il Digital Services Act). I funzionari di alto livello dell’esecutivo UE hanno organizzato 271 incontri sui pacchetti legislativi che dovrebbero contenere il potere crescente delle Big Tech: tre su quattro si sono tenuti proprio con i rappresentanti dell’industria tecnologica, Google e Facebook in testa.
“Il potere economico e politico dei giganti digitali è pesante e non hanno intenzione di rimanere passivi di fronte a possibili nuove regole che riguardano il modo in cui conducono i loro affari”, ha avvertito Tommaso Valletti, ex-capo economista della direzione della concorrenza della Commissione UE. “Ecco perché le istituzioni dell’UE devono urgentemente cambiare il modo in cui gestiscono questo lobbismo e limitare il potere delle Big Tech”.
Lo studio ha anche sottolineato che, nonostante il sostegno pubblico alle proposte della Commissione UE per limitare l’egemonia dei giganti digitali, i verbali delle riunioni e le strategie di lobbying trapelate mostrano che le aziende tecnologiche “stanno cercando di fare tutto il possibile per far cancellare le regole dure che sarebbero loro imposte“. Dalla disinformazione alla pubblicità mirata, fino alle pratiche di concorrenza sleale. Questa battaglia di influenze economiche si è ora spostata al Parlamento Europeo e al Consiglio, che stanno subendo lo stesso tipo di pressione da parte dei nuovi potentati del potere lobbistico a Bruxelles.