Bruxelles – I cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico di lavoro ottenuto in forza della normativa italiana che recepisce una direttiva dell’Unione hanno il diritto di beneficiare di un assegno di natalità e di un assegno di maternità quali previsti dalla normativa italiana.
Lo stabilito oggi una sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea, adita dalla Corte costituzionale nell’ambito di una serie di contestazioni dopo che le autorità italiane (a partire dall’INPS) hanno rifiutato la concessione di un assegno di natalità e di un assegno di maternità a diversi cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in Italia, titolari di un permesso unico di lavoro ottenuto in forza della normativa italiana che recepisce la direttiva UE 2011/98 . Tale rifiuto è stato motivato dal fatto che, contrariamente ai requisiti previsti dalla legge n. 190/2014 e dal decreto legislativo n. 151/2001, tali persone non sono titolari dello status di “soggiornanti di lungo periodo”.
In forza, infatti, della legge n. 190/2014, che istituisce un assegno di natalità per ogni figlio nato o adottato, l’assegno è versato mensilmente ai cittadini italiani, ai cittadini di altri Stati membri, nonché ai cittadini di paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata, al fine di incentivare la natalità e di contribuire alle spese per il suo sostegno. Il decreto legislativo n. 151/2001 concede il beneficio dell’assegno di maternità, per ogni figlio nato dal primo gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento, alle donne residenti in Italia che siano cittadine di tale Stato membro o di un altro Stato membro dell’Unione o che siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.
I cittadini di paesi terzi titolari di un permesso di lavoro unico hanno contestato il rifiuto delle autorità a pagargli l’assegno dinanzi ai giudici italiani. La questione è arrivata fino alla Corte Costituzionale che ha chiesto alla Corte europea di precisare la portata del diritto di accesso alle prestazioni sociali riconosciuto dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e del diritto alla parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale concesso dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 ai lavoratori di paesi terzi.
Nella sua sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte conferma il diritto dei cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico di beneficiare, “conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98, di un assegno di natalità e di un assegno di maternità quali previsti dalla normativa italiana”.
La Corte conclude che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi secondo la direttiva 2011/98 beneficiano del diritto alla parità di trattamento. “Tenuto conto del fatto – sottolinea poi una nota della Corte – che l’Italia non si è avvalsa della facoltà offerta dalla direttiva agli Stati membri di limitare la parità di trattamento, la Corte ritiene che la normativa nazionale che esclude tali cittadini di paesi terzi dal beneficio di detti assegni non sia conforme all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva”.