Bruxelles – “Non ci sono ostacoli o sospensioni nell’applicazione del regolamento” che istituisce un legame tra fondi del bilancio comunitario e stato di diritto, quella condizionalità che dovrebbe essere parte centrale del pacchetto di ripresa post-coronavirus e che dovrà sospendere o ridurre i finanziamenti dell’UE agli Stati membri che non rispettano i valori democratici. E’ quanto assicurato dalla Commissione europea nella lettera inviata ieri (23 agosto) in extremis per rispondere alle richieste del presidente del Parlamento, David Sassoli, di applicare quanto prima il meccanismo dello stato di diritto alle sovvenzioni europee. Una lettera datata 23 giugno in cui Sassoli si è appellato all’articolo 265 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, compiendo un primo passo formale verso una causa contro la Commissione europea alla Corte di Giustizia se non verrà applicato il meccanismo dello stato di diritto alle sovvenzioni dell’UE.
I due mesi di tempo lasciati al Berlaymont per rispondere sono scaduti ieri e oggi un portavoce ha confermato che la risposta è stata inviata, se pure poco risolutiva dello stallo in atto. Il regolamento è entrato in vigore il primo gennaio insieme al nuovo bilancio pluriennale (2021-2027) in cui in modo inedito si lega il fondo di ripresa da 750 miliardi, Next Generation EU. Otto mesi dopo, del meccanismo per vincolare queste risorse allo stato di diritto ancora non c’è traccia, ma la Commissione assicura che non c’è alcuna volontà di sospendere il meccanismo (che comporterebbe di fatto una violazione di legge) ma il ritardo accumulato è dovuto al fatto che “da allora, abbiamo lavorato molto duramente su due fronti” per essere pronti prima di farlo partire, spiega un portavoce al briefing con la stampa.
Da un lato, Bruxelles sta lavorando ai casi da sottoporre eventualmente al meccanismo. “È importante sottolineare che questo è uno strumento di ultima istanza”, ricorda il portavoce intendendo che l’UE ha diversi altri mezzi a disposizione per proteggere il bilancio dell’UE prima di arrivare alla sospensione delle risorse o di una parte di esse. Dal primo giugno, tra gli altri, è attiva la Procura europea (EPPO) che ha il compito di vigilare sui fondi europei da possibili frodi. Manca però il legame diretto con il rispetto del principio dello stato di diritto, che è un elemento innovativo nella politica europea che riguarda il Bilancio.
“Vorremmo assicurarci che la procedura adeguata sia stata intrapresa per preparare eventuali casi prima che il regolamento sia attivato”, ha aggiunto il portavoce. Al contempo, come scrivevamo ieri, la Commissione è al lavoro su una serie di orientamenti e linee guida per capire come rendere operativo il meccanismo. “Su questo fronte siamo al momento in un processo di consultazione, abbiamo redatto queste linee guida all’inizio di giugno e abbiamo iniziato a cercare le opinioni degli Stati membri in Parlamento a metà giugno”. Tutto rimandato in autunno, a voler essere ottimisti, ma c’è l’impressione che il meccanismo non entrerà in vigore prima del 2022, con un anno esatto di ritardo sulla tabella di marcia.
Le leggi contro i diritti Lgbt+
Entrerà in funzione con valore retroattivo, questo è certo. Questo vuol dire che tutti i “casi” di violazione del principio dello stato di diritto registrati da Bruxelles dal primo gennaio 2021 dovranno essere tenuti in considerazione e non cadranno nel vuoto. Nonostante questa certezza, è evidente anche la Commissione sia elusiva e continui a rimandare una decisione che ha probabilmente ha più un significato politico, che una effettiva utilità. Osteggiato da Paesi come Ungheria e Polonia – che per settimane l’anno scorso hanno tenuto in ostaggio tutto il bilancio pluriennale dell’UE –, il meccanismo alla fine è passato con un compromesso per legare – in modo molto blando e vago – le risorse allo stato di diritto. Anche per questa vaghezza dell’accordo si attendono maggiori dettagli da parte di Bruxelles.
Solo nelle scorse settimane la Commissione Ue ha avviato due diverse procedure di infrazione contro Varsavia e Budapest per violazione dei diritti fondamentali di uguaglianza attraverso due nuove leggi che discriminano la comunità Lgbt+. La Corte europea ha poi bocciato la riforma della giustizia varata in Polonia perché lesiva dell’indipendenza dei magistrati. Uno scenario che dipinge fedelmente il rapporto problematico dell’Est Europa con ciò che Bruxelles definisce stato di diritto (articolo 2 del trattato sul funzionamento dell’UE), e che dovrebbe essere uno dei pilastri fondanti della comunità europea. Procedure d’infrazione sì, ma forse avere già la possibilità di sospendere una quota delle risorse destinate a Budapest o Varsavia sarebbe stato più incisivo, almeno politicamente.
Il meccanismo non è direttamente legato alle risorse del Recovery fund, tuttavia per il momento l’Ungheria di Viktor Orban dovrà aspettare almeno fino alla fine settembre per l’approvazione del piano di ripresa nazionale e quindi accedere al pre-finanziamento: 7,2 miliardi di euro in sovvenzioni europee bloccati per i problemi di Budapest di trasparenza negli appalti e di corruzione. Lo stesso vale per la Polonia, per cui l’assegnazione dei fondi europei potrebbe ritardare anche di un paio di mesi.
Silenzio dal Parlamento
Nonostante la risposta poco esaustiva della Commissione, per ora Sassoli non ha intenzione di pronunciarsi. Da mesi, ormai, l’Europarlamento minaccia di portare la Commissione – garante per eccellenza dei Trattati – di fronte alla Corte di Giustizia per inadempienza e per il ritardo accumulato nel fare entrare in vigore questo meccanismo. Dall’Europarlamento oggi nessun commento sulla risposta della Commissione, e forse anche nessuna intenzione di andare fino in fondo.