Bruxelles – Guardare al futuro, per modellare il presente. Si fa sempre più intenso il dibattito pubblico in Italia sulle prospettive digitali dell’Unione Europea e dei ventisette Stati membri, in un momento in cui la riflessione sugli obiettivi della Bussola Digitale 2030 si interseca con l’analisi dei capitoli di spesa del piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra i protagonisti di questo momento-chiave per la transizione digitale c’è anche Altheo Valentini, nuovo presidente eletto del Consiglio di amministrazione di All Digital, associazione paneuropea che rappresenta reti e centri di competenze digitali.
Il punto di osservazione del tesoriere degli Stati Generali dell’Innovazione (network di associazioni, aziende e privati cittadini) offre una panoramica inedita sul tema delle competenze digitali dei cittadini europei. “La prima cosa da considerare è che bisogna anticipare i bisogni dei futuro“, dal momento in cui “le competenze richieste non sono uguali a solo due anni fa e sicuramente fra altri due anni saranno ancora diverse”.
Pensa sia realistico l’obiettivo della Commissione Europea di portare l’80 per cento dei cittadini a possedere competenze digitali di base entro la fine del decennio?
“Se per conoscenze di base si intende connettersi a internet e usare un computer, penso di no. Ma solo perché tra due o tre anni forse un computer non lo useremo più: non bisogna dimenticare che siamo in una fase iniziale di trasformazione digitale”.
E allora come si potrà raggiungere questa quota?
“Dovremo essere in grado di adattarci alle necessità e alle richieste del comparto pubblico e del mondo del lavoro. Ma anche i soggetti che si occupano di formazione dovranno riuscire a sfruttare le innovazioni che oggi sono in fase di sviluppo embrionale per raccogliere dati utili per nuovi scenari: penso per esempio all’intelligenza artificiale o alle nuove metodologie didattiche integrate”.
Soffermandoci sull’Italia, quali competenze si possono portare in Europa?
“Sicuramente c’è un importante lavoro svolto sia dalle reti di centri di formazione, sia dalle realtà in cui si pianificano attività per categorie più deboli. Una serie di esperienze, come Pane e Internet in Emilia-Romagna [corsi gratuiti di alfabetizzazione digitale per i cittadini residenti, ndr], sono già state riprese anche a Bruxelles come buone pratiche. E con l’iniziativa strategica nazionale ‘Repubblica Digitale’ si potranno portare in Europa tutte le iniziative consolidate nei territori”.
Quali sono invece le sfide maggiori su cui bisogna lavorare?
“Se sono tante le esperienze che portano risultati ottimi, non bisogna dimenticare che manca ancora la capacità di integrare i diversi settori e livelli di educazione, perché ognuno va avanti seguendo le linee dettate da ciascun ministero. Lo si è visto anche con il piano di ripresa nazionale: va bene puntare sulla pubblica amministrazione, il turismo e altri settori dell’economia ritenuti importanti, ma se non si cerca di abbattere a livello sistemico il divario digitale, rischiamo di non riuscire a sprigionare tutta la capacità innovativa che emerge dal documento”.
A un mese dal via libera da parte della Commissione Europea al piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, si possono fare bilanci più ragionati sul testo. Qual è la sua valutazione?
“Personalmente ho apprezzato il documento e lo reputo un ottimo punto di partenza. Ci vedo sia degli elementi di forza, sia di debolezza. Prima di tutto, è un piano che in tutte le sue missioni prevede un’analisi incentrata su obiettivi trasversali. C’è poi anche un altro aspetto positivo, che è aver precisato nei titoli dei diversi capitoli le categorie a cui noi siamo più attenti per lo sviluppo delle competenze digitali, come giovani e donne”.
E i punti di debolezza?
“Per noi di All Digital è evidente che tra le priorità elencate nella missione della digitalizzazione manca l’abbattimento del digital divide, il divario digitale. Va benissimo averlo inserito a livello trasversale, ma sarebbe stato più puntuale come missione specifica”.
Parlando di sviluppo di competenze, non possiamo non considerare la formazione e la ricerca. A livello digitale, su questo fronte è previsto un investimento pari a circa 7,5 miliardi, il 15 per cento di tutta la transizione digitale: è sufficiente?
“Il 15 per cento è sicuramente una quota importante, se la consideriamo come azione accademica e di innovazione per il sistema-impresa in un quadro di ripartizione dei fondi che deve prendere in considerazione anche altri settori fondamentali. Però non è sufficiente, a meno che non saremo in grado di valorizzarla con azioni di controllo periodico e di scalabilità e di declinarla in altre politiche che possano beneficiare di fondi statali o europei”.
È una bocciatura nei fatti?
“No, il mio auspicio è che questi fondi stimolino il trasferimento di innovazione non solo a livello settoriale, ma anche tra diversi ambiti di ricerca, e che abbiano un impatto diretto sulle necessità dei diversi territori. Per fare questo, da ora serve l’impegno di tutti”.