Roma – Un accordo all’ultimo minuto. Quando ormai la trattativa era entrata in stallo da molte ore e un ulteriore rinvio al prossimo summit sembrava l’unica alternativa, al G20 ambiente è stata trovata la via d’uscita per un documento finale su clima ed energia che ha avuto l’assenso di tutti. Dopo quello siglato nella prima giornata, decisamente meno difficoltoso, i delegati dei governi hanno trovato una faticosa sintesi per un impegno alla riduzione delle emissioni inquinanti e la limitazione progressiva (ma senza una data) delle fonti di energia ad elevata produzione di Co2.
Così i due impegni precisi sono rimasti fuori dall’accordo: rimanere sotto 1,5 gradi di riscaldamento globale al 2030 ed eliminare il carbone dalla produzione energetica al 2025.”Due punti che abbiamo rinviato al g20 dei capi di Stato e di governo”, ha spiegato il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani nella conferenza stampa finale. “Usa, Europa, Giappone e Canada sono favorevoli, ma quattro o cinque paesi, fra i quali Cina, India e Russia, hanno detto che non se la sentono di dare questa accelerazione, anche se vogliono rimanere nei limiti dell’Accordo di Parigi”. Nel guardare al risultato complessivo la presidenza italiana giudica questo “un ottimo risultato, un accordo fondamentale per aprire la strada alla Cop 26”, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, Cop 26, che si svolgerà a Glasgow a novembre.
Riconoscere la stretta correlazione tra clima energia, ambiente e povertà è un bel passo avanti per la sfida che il G20 si pone con la transizione ecologica, e “una decarbonizzazione ormai improcrastinabile” come aveva Roberto Cingolani aprendo il summit al Palazzo Reale di Napoli. E come previsto, è stata infatti la sessione dedicata al clima ed energia che ha registrato le maggiori distanze tra i 20 Paesi che, va ricordato, rappresentano l’80 % del Pil mondiale e soprattutto l’80 % cento delle emissioni di Co2 del pianeta.
Carbone e fossili l’oggetto dello scontro: per Russia, Cina, Paesi arabi, India e Brasile i target proposti dalla presidenza italiana, Unione europea e Stati Uniti (in grado di mantenere entro 1,5 gradi l’aumento del riscaldamento globale) erano eccessivi e per tutta la seconda giornata sono stati al centro di trattative molto serrate. Per chiudere l’intesa è stato determinante l’apporto della Cina che alla fine ha dato il suo assenso.
Lo stallo è stato superato anche grazie all’impegno dell’inviato speciale USA per il clima, John Kerry insieme al ministro italiano Cingolani che hanno guidato i negoziati. Già dalla mattina di venerdì 23, i 20 grandi si erano arenati sulla possibilità di imporre un prezzo minimo della produzione di utilizzo di fossili per ridurre le emissioni inquinanti. L’ultima carta giocata dal blocco che ha fatto asse con gli Stati Uniti, è stata quella di mobilitare 100 miliardi di euro in favore dei Paesi emergenti. per affrontare la transizione. Per arrivare a chiudere l’accordo con un documento condiviso, Kerry e Cingolani hanno incontrato uno per uno i delegati dei governi.
Nella prima giornata è stato invece molto più semplice chiudere su un comunicato condiviso e sottoscritto da tutti i grandi. Il testo si sviluppa su tre macro aree tematiche: biodiversità, uso efficiente delle risorse ed economia circolare, e finanza sostenibile. Gli impegni presi riguardano l’obiettivo di aumentare del 30 % le aree marine protette, dimezzare le aree desertificate entro il 2040 e interventi drastici per contrastare l’inquinamento da plastica con programmi di economica circolare globali. Impegni ambiziosi che per la presidenza italiana riflettono l’impronta del PNRR nazionale e che, come rileva Cingolani, “per la prima volta queste categorie vengono riconosciute dal G20 e ritenute vincolanti. Ora spetta ai singoli governi attuare gli impegni sottoscritti.