Bruxelles – C’è un filo rosso che collega le violazioni dello Stato di diritto con la diffusione di fake news sull’Unione Europea per alimentare il senso di oppressione percepita. Un filo molto sottile, nel caso dell’Ungheria e se si tratta di diritti LGBT+ o gestione dei flussi migratori nel Paese. Il primo ministro, Viktor Orbán, l’ha dimostrato chiaramente con la decisione di indire un referendum sulle questioni relative alla protezione dell’infanzia, per combattere le pressioni dell’Unione sulla legislazione anti-LGBT+.
Dal vertice dei leader UE al lancio della procedura di infrazione per violazione dei diritti umani, “Bruxelles ha attaccato l’Ungheria e ora ci chiede emendamenti alla legge”, ha attaccato ieri (mercoledì 21 luglio) il premier. Il ricorso alla consultazione diretta deriverebbe dalla volontà di “tenere fuori la propaganda sessuale” da asili, scuole, programmi televisivi e pubblicità. Ma Orbán non si è fermato qui. “Cinque anni fa la volontà comune del popolo ungherese ha impedito a Bruxelles di obbligarci ad accogliere i migranti. Li abbiamo fermati allora, possiamo fermarli adesso”, ha arringato i suoi sostenitori.
Il riferimento è al referendum del 2016 sui piani di ricollocamento dei richiedenti asilo sul territorio comunitario. Orbán ha fatto leva sulla stragrande maggioranza che si era espressa contro le quote di rifugiati (il 98,36 per cento dei voti validi): “Vi chiedo di dire no, proprio come abbiamo detto no cinque anni fa”. Ma ha fatto passare il risultato come un successo del suo governo, quando invece a esprimersi era stato appena il 44 per cento degli aventi diritto al voto. Un’affluenza nettamente insufficiente per rendere valida la consultazione elettorale, secondo la legge ungherese, che richiede almeno il 50 per cento più uno dei voti validi dell’intero corpo elettorale.
A distanza di anni il premier in rotta con Bruxelles ci riprova, ma su un altro tema altamente divisivo, come quello dei diritti LGBT+. Accusando il gabinetto von der Leyen di abusare dei suoi poteri nel contestare le leggi ungheresi sull’istruzione e sulla protezione dei bambini, Orbán ha rincarato la dose: “Non possiamo cedere terreno”. Anche se ancora non è nota la data della consultazione, sono già stati anticipati i cinque quesiti referendari dallo stesso primo ministro.
Le schede riporteranno le seguenti domande: 1) Sei a favore dello svolgimento di presentazioni negli istituti di istruzione pubblica che introducano i minori a temi sull’orientamento sessuale senza l’autorizzazione dei genitori? 2) Sei a favore della promozione di trattamenti di riassegnazione di genere per i minori? 3) Sei a favore che trattamenti per la riassegnazione di genere siano messi a disposizione dei minori? 4) Sei a favore che ai minori vengano mostrati, senza alcuna restrizione, contenuti media di natura sessuale in grado di influenzare il loro sviluppo? 5) Sei a favore che ai minori vengano presentati contenuti multimediali che mostrino la riassegnazione di genere?
Come rilevato dalla lettera di costituzione in mora della Commissione Europea, il disegno di legge pone l’omosessualità, il cambio di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita allo stesso livello della pornografia, considerandole tutte pratiche in grado di esercitare un’influenza negativa sullo sviluppo morale e fisico dei minorenni. Per l’esecutivo UE si tratta di una “violazione della dignità umana, della libertà di espressione e di informazione, del rispetto della vita privata e del diritto alla non discriminazione”.
È evidente l’aumento di intensità degli attacchi di Orbán all’Unione Europea, ma anche l’insistenza sui valori cristiani tradizionali per mantenere salda la presa sull’elettorato conservatore, in vista delle elezioni parlamentari dell’aprile del prossimo anno. D’altra parte l’opposizione si è schierata nettamente contro il referendum, con l’obiettivo di far naufragare anche questa consultazione diretta. “Il premier ha subito sconfitte pesanti in questi giorni”, ha ricordato il partito di centro-sinistra Coalizione Democratica (DK). In particolare sul caso Pegasus, che lo vede parte di uno scandalo internazionale sullo spionaggio di giornalisti e attivisti: “Inventa una guerra contro Bruxelles sotto forma di un referendum”.
Stessa linea sposata a Bruxelles da Sandro Gozi, eurodeputato in quota Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo, che su Twitter ha definito il referendum sulla legge anti-LGBT+ “una formidabile arma di distrazione di massa per nascondere l’affaire Pegasus”. Non solo, c’è anche una questione di puro rispetto dello Stato di diritto: “Se una maggioranza decidesse davvero che può imporsi su una minoranza e ignorare le libertà fondamentali di tutti, quella maggioranza metterebbe di fatto il suo Paese fuori dall’Unione Europea”.
https://twitter.com/sandrogozi/status/1418134090830712836?s=20