Bruxelles – Da lineare a circolare. Il filo rosso che lega tutte le politiche ambientali dell’Unione Europea è la dovuta transizione verso un modello economico più sostenibile, che metta al centro il principio di circolarità per rafforzare la competitività dell’industria europea, dare potere ai consumatori e allo stesso tempo proteggere l’ambiente. Su questi pilastri si fonda il piano d’azione dell’UE per l’economia circolare presentato dalla Commissione Europea che interessa tutti i settori dell’economia che utilizzano più risorse e che hanno un potenziale di circolarità più elevato, dall’elettronica e TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), alle batterie e veicoli, agli imballaggi della plastica e all’industria tessile.
Al momento l’economia europea segue un percorso per lo più di tipo lineare ‘prendere-produrre-smaltire’, con solo il 12 per cento di materiali e risorse secondari riportati nell’economia grazie a un approccio di circolarità. Continuando su questa rotta, nel 2050 avremo bisogno di tre pianeti per sfruttare tutte le risorse per alimentare l’economia europea. Cambiare il modello produttivo è quindi un imperativo, ma impone un cambiamento sia culturale che imprenditoriale e un’opportunità per accelerare la transizione verso un modello economico più sostenibile è dato dai fondi del Recovery fund ed è giusto chiedersi se l’Italia sia pronta a sfruttarle. Di questo si è discusso al webinar ‘Recovery Fund e Green Deal: una spinta decisiva per l’economia circolare’, organizzato oggi (19 luglio) dalla redazione di Eunews e moderato da Ruggero Po, Giornalista e componente dell’Alleanza per lo Sviluppo sostenibile.
In Italia, a livello imprenditoriale “ci sono tante eccellenze in termini di circolarità dal punto di vista delle imprese, soprattutto per quanto riguarda plastica”, riconosce Stefano Soro, Capo unità per il Green and Circular Economy DG GROW della Commissione Europea. Se la transizione impone un nuovo modello produttivo, da un lato è fondamentale imporre “delle regole sia ambiziose per un cambiamento del modello produttivo, ma farlo in una maniera intelligente in modo da non desertificare industrialmente l’Europa; dall’altro, è necessario fornire alle industrie elettricità decarbonizzata rapidamente”, spiega Soro ricordando che per l’Italia è un problema serio visto che “al ritmo attuale si sta decarbonizzando l’energia a 1/10 della velocità che sarebbe necessario da qui al 2030” per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE. Un approccio di tipo circolare con la conservazione delle risorse più a lungo possibile nel ciclo produttivo non ha un ritorno solo ambientale, ma anche di tipo economico. La Commissione stima che l’uso di sistemi di circolarità da qui al 2030 “potrebbe avere un impatto positivo sull’economia dello 0,5% del pil e la creazione creazione di circa 700.000 nuovi posti di lavoro in Europa nei prossimi 9 anni”, ha aggiunto Soro.
Anche l’Italia – come tutti i Ventisette governi – ha l’occasione unica di sfruttare il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund per la transizione verde, e quindi destinare una parte di queste risorse alla transizione verso un nuovo modello di produzione. Il momento “è unico ed irripetibile ad ogni livello, sia nazionale, locale e regionale”, ha riconosciuto Maria Alessandra Gallone, Senatrice e Segretaria Commissione Ambiente esprimendo il punto di vista del Parlamento italiano. La chiave però è far comprendere a tutti gli attori della politica italiana che senza “un sistema integrato di azione”, ovvero una grandissima alleanza tra pubblico e privato a sostegno del tessuto imprenditoriale delle PMI c’è il rischio di incontrare delle difficoltà nell’attuazione dei piani di ripresa e resilienza. Da un sistema integrato tra pubblico e privato all’attenzione che dovrà essere posta al tema delle riforme: secondo la senatrice, la macchina del governo guidato da Mario Draghi è quella giusta per cogliere le opportunità del Recovery fund, ma bisognerà saperla usare in maniera ottimale. Ed è anche per questo che auspica un maggiore coinvolgimento della Commissione per l’Ambiente del Parlamento italiano.
Se è vero che l’Italia è ai primi posti in Europa per indice di circolarità, stiamo “rischiando di gettare al vento opportunità incredibili messe a disposizione dal Next Generation EU con il piano di ripresa e resilienza perché solo l’1 per 100 del totale delle risorse viene dedicato di fatto (direttamente, ndr) all’economia circolare per rinnovare il modello produttivo industriale”, ha avvertito Eleonora Evi, eurodeputata dei Verdi Europei e membro della Commissione per l’ambiente (ENVI). A detta di Evi nei piani italiani per l’attuazione delle risorse in arrivo da Bruxelles manca “quell’attenzione che dovrebbe essere posta a quelle parti di prevenzione nella creazione dei rifiuti” che invece dovrebbe rientrare in un approccio di tipo circolare.
Al Parlamento europeo si aspetta di capire come la Commissione tradurrà in iniziative concrete e vincolanti le azioni inscritte nell’ambito del piano di azione sulla sull’economia circolare presentato nel 2020, ma il monito è quello ad essere più ambiziosi possibile prima che sia troppo tardi. Gli eventi catastrofici che hanno colpito Belgio e Germania in questi ultimi giorni sono solo un assaggio di ciò che ci aspetta se il cambio di passo sulla lotta ai cambiamenti climatici non sarà imponente. “L’Unione europea si deve dotare oggi di strumenti di piani di programmi che siano coraggiosi e sufficientemente ambiziosi”, ha aggiunto l’eurodeputata ritenendo gli obiettivi della Legge europea sul clima ancora insufficienti.
All’Europarlamento si attendono le nuove proposte della Commissione per attuare il piano per l’economia circolare, ha ricordato anche Patrizia Toia, eurodeputata e vicepresidente della Commissione per l’Industria (ITRE) in un videomessaggio proposto nel corso dell’evento. Quello dell’economia circolare è “un tema che percorre un po’ tutte le nostre azioni di politica industriale e di politica energetica e ambientale perché è un nuovo modo di concepire la produzione e la progettazione prima ancora della produzione, di concepire il modo di consumare, di riutilizzare o smaltire laddove fosse necessario”, ha spiegato. Un nuovo paradigma di sviluppo in cui – ricorda anche Toia – l’Italia ha già delle eccellenze “nel settore della carta” o delle plastiche.
Ma quali sfide si trovano ad affrontare le imprese italiane per cambiare il proprio paradigma di sviluppo? Le norme già ci sono ma quello che occorre è “una facilitazione nella transizione verso un modello di economia circolare”, sostiene Eleonora Rizzuto, Presidente dell’Associazione per lo Sviluppo dell’Economia circolare, auspicando la nascita di una “cabina di regia”, un ente che sia in grado di dialogare al tempo stesso con tutti gli attori e fruitori di questa transizione per fare ordine e sostenere realmente il tessuto imprenditoriale. “Per poter facilitare la transizione, perché gli strumenti spesso li abbiamo, ma spesso non abbiamo la possibilità operativa per metterli in campo”, ha spiegato.
L’Italia è pronta per questa transizione e ha gli strumenti, anche culturali per affrontarla al meglio? E’ il quesito che abbiamo posto agli spettatori di questo evento dedicato proprio a capire come si pone l’Italia in questo processo europeo di trasformazione economica che sarà centrale nei prossimi anni. Al termine del webinar solo il 63 per cento si è detto convinto di sì.
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