Bruxelles – Prima un montante destro, poi un gancio sinistro. Con una sequenza di procedure di infrazione per le violazioni del diritto comunitario, la Commissione Europea sta cercando di mettere alle corde l’Ungheria di Viktor Orbán. Oggi a Budapest non è arrivata solo una lettera di costituzione in mora per la serie di misure restrittive e discriminatorie nei confronti delle persone LGBT+, ma anche il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione della direttiva sulle procedure di asilo (2013/32), interpretata alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
La decisione del gabinetto von der Leyen arriva a più di otto mesi dall’avvio della procedura d’infrazione. La violazione, su cui si dovrà esprimere la Corte UE, riguarda le misure introdotte in Ungheria il 17 giugno dello scorso anno, nel quadro delle norme transitorie e di preparazione epidemiologica in risposta all’emergenza COVID-19. Secondo quanto previsto dalla legge ungherese, prima di poter richiedere la protezione internazionale, i cittadini di Paesi terzi in arrivo sul confine ungherese vengono respinti e indirizzati presso un’ambasciata ungherese al di fuori del territorio comunitario, per presentare la domanda di asilo.
L’articolo 6 della direttiva UE sulle procedure di asilo impone invece agli Stati membri di garantire a cittadini extra-comunitari e apolidi che si trovano nel loro territorio – frontiere comprese – di poter esercitare “in modo effettivo” il diritto di richiedere la protezione internazionale.
Considerato il contrasto tra la legge ungherese e la direttiva europea, l’esecutivo UE ha ritenuto opportuno deferire il Paese alla Corte di Giustizia dell’Unione per “limitazione illegittima dell’accesso alla procedura di asilo”. In aggiunta, l’obiettivo dichiarato della legge, ovvero affrontare la pandemia COVID-19, “non può giustificare tale norma”.