Bruxelles – E linea dura sia. La Commissione Europea non arretra di un millimetro sulla difesa dei diritti LGBT+ e oggi lo ha ribadito chiaramente a Budapest e Varsavia. Con le due procedure d’infrazione avviate contro Ungheria e Polonia, l’esecutivo comunitario ha dato una risposta decisa ai due Paesi dell’Europa orientale e alle iniziative dei rispettivi governi contro i diritti fondamentali della persona: l’Unione non può tollerare leggi anti-LGBT+ come quella ungherese, o “zone libere da LGBT+” come quelle polacche. “Non permetteremo mai che parti della nostra società siano stigmatizzate per chi amano“, aveva attaccato la leader dell’esecutivo UE nel suo intervento al Parlamento Europeo mercoledì scorso (7 luglio).
Nella promessa di “utilizzare ciò che è a nostra disposizione per difendere l’uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani”, la Commissione Europea si è attivata attraverso le due lettere di costituzione in mora, il primo passo per aprire una procedura d’infrazione. I due Stati membri hanno due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni avanzate dal gabinetto von der Leyen. In caso contrario, l’esecutivo UE potrà decidere di inviare un parere motivato e in una fase successiva deferirli alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Capitolo Polonia
È da due anni che sul territorio nazionale polacco si registrano casi di comuni e regioni che adottano risoluzioni sulla creazione delle cosiddette “zone libere dall’ideologia LGBT+”. Secondo la Commissione UE queste dichiarazioni “possono violare il diritto comunitario in materia di non discriminazione per motivi di orientamento sessuale” e per questo motivo è necessario “procedere a un’analisi dettagliata della compatibilità delle delibere con il diritto UE“.
Nonostante gli inviti a collaborare con Bruxelles per fornire informazioni richieste, le autorità e il governo polacco di Mateusz Morawiecki hanno “manifestamente omesso di rispondere alla maggior parte delle richieste“, ostacolando le capacità della Commissione di esercitare i poteri conferiti dai Trattati e non rispettando “il principio di leale cooperazione alle istituzioni UE”.
Capitolo Ungheria
Molto più articolata è invece la vicenda ungherese e le motivazioni che hanno portato alla procedura d’infrazione contro Budapest. Alla vigilia dell’ultimo Consiglio Europeo il governo presieduto da Viktor Orbán ha pubblicato una legge che prevede una serie di misure restrittive e discriminatorie nei confronti delle persone LGBT+. In particolare, questa legge vieta o limita l’accesso a contenuti che diffondano – usando le parole dell’esecutivo ungherese – “divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambio di sesso o all’omosessualità” per le persone di età inferiore ai 18 anni.
Nonostante la tutela del minore sia un “interesse pubblico legittimo che l’Unione condivide e persegue”, spiega la Commissione, “in questo caso l’Ungheria non ha spiegato perché l’esposizione dei bambini a contenuti LGBT+ in quanto tale sarebbe dannosa per il loro benessere”. Così facendo, è stata invece violata la direttiva sui servizi di media audiovisivi a livello di standard per i contenuti e la libera fornitura di servizi transfrontalieri: “L’Ungheria ha posto in essere restrizioni ingiustificate che discriminano le persone in base al loro orientamento sessuale e sono inoltre sproporzionate”. In aggiunta, alcune delle disposizioni violano la direttiva sul commercio elettronico, vietando la fornitura di servizi che mostrano contenuti ritenuti illeciti dal governo Orbán, anche se provengono da altri Stati membri UE.
È stata poi rilevata una mancanza di notifica preventiva alla Commissione Europea, nonostante l’obbligo previsto dalla direttiva sulla trasparenza del Mercato Unico, e l’esecutivo UE ritiene anche che il Paese abbia violato i principi del trattato sulla libera prestazione di servizi (articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, TFUE) e sulla libera circolazione delle merci (articolo 34 del TFUE), “non dimostrando che le restrizioni sono debitamente giustificate, non discriminatorie, e proporzionate”. Infine, viene riscontrata una violazione della dignità umana, della libertà di espressione e di informazione, del rispetto della vita privata e del diritto alla non discriminazione.
In questo quadro si inserisce l’episodio datato 19 gennaio 2021, quando l’Autorità ungherese per la protezione dei consumatori ha obbligato l’editore di un libro per bambini (con raffigurate all’interno anche famiglie LGBT+) a includere una dichiarazione di non responsabilità, secondo cui il libro descrive forme di “comportamento che si discostano dai ruoli di genere tradizionali”. La Commissione ha deciso di inviare all’Ungheria una lettera di costituzione in mora “perché ritiene che limiti la libertà di espressione degli autori e degli editori di libri e discrimini per motivi di orientamento sessuale in modo ingiustificato”, imponendo l’obbligo di fornire informazioni in merito a una divergenza dai “ruoli di genere tradizionali”.
Le reazioni da Bruxelles
“Il tempo è scaduto e noi dobbiamo guardare in faccia la realtà”, ha commentato Tiziana Beghin, capo-delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento Europeo. Le due procedure d’infrazione sono state salutate come “un’iniziativa doverosa e necessaria”, che l’Eurocamera già durante l’ultima sessione plenaria di inizio luglio aveva chiesto con determinazione all’esecutivo UE. “Tutti i cittadini europei si aspettavano una presa di posizione di questo tipo“, ha aggiunto l’eurodeputata italiana, e “l’Unione non poteva lasciare soli i cittadini ungheresi e polacchi: noi siamo la loro speranza e non possiamo tradire le loro aspettative”.
Dalle fila del Partito Democratico, il capo-delegazione al Parlamento Europeo, Brando Benifei, ha definito l’azione del gabinetto von der Leyen “una buona notizia, che attendiamo ormai da troppi mesi”. Le “vergognose leggi” che discriminano le comunità LGBT+ dei due Paesi “sono uno scempio che non può trovare spazio in Europa“, mentre le procedure di infrazione sono “un primo passo necessario, ma non sufficiente”, ha attaccato con forza Benifei. Ora è necessario “attivare subito il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto, affinché neanche un centesimo di fondi europei vada a chi viola i diritti e le libertà fondamentali”.