Bruxelles – È un film visto e rivisto alla frontiera della fortezza Europa. Prima l’allarme, poi la crisi e infine le misure di contenimento, la militarizzazione o l’esternalizzazione dei confini. A pagare il prezzo più alto, sempre chi ha la sola colpa di viaggiare alla ricerca di un futuro migliore: migranti e richiedenti asilo provenienti dal continente africano o dal Medioriente. Storie che finora eravamo abituati a raccontare lungo la rotta mediterranea o balcanica, tra muri e barriere di filo spinato, mancati soccorsi e respingimenti illegali via terra o via mare. I protagonisti erano l’Italia, la Spagna, la Grecia, la Croazia, la Bulgaria, l’Ungheria.
Tutto questo adesso si sta replicando in un’altra regione di confine dell’Unione Europea, a nord-est, ma il copione non sembra cambiare: la Lituania è pronta ad allestire centri di detenzione di massa di migranti in arrivo dal territorio bielorusso, a limitare il loro diritto di appello in caso di respingimento e ad espellerli anche mentre i ricorsi sono pendenti. Il via libera è arrivato ieri (martedì 13 luglio) dal Seimas, il Parlamento nazionale lituano, con un voto che non lascia spazio a dubbi: 84 favorevoli, 1 contrario e 5 astenuti. Ignorate le proteste della Croce Rossa e di altre organizzazioni non governative, che denunciano il rischio di violazione degli obblighi internazionali e dei diritti umani delle persone migranti.
A Vilnius ciò che importa maggiormente è scoraggiare l’arrivo di profughi sul proprio territorio nazionale. Un flusso agevolato da mesi dal regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, che sta utilizzando la migrazione irregolare verso la Lituania come un’arma di ricatto verso l’UE, dopo l’imposizione di sanzioni economiche nei confronti di Minsk. I numeri parlano chiaro e indicano una situazione che presto potrebbe trasformarsi in una crisi umanitaria: se lo scorso anno la guardia di frontiera lituana riportava 81 tentativi di ingresso illegale nel Paese, quest’anno sono più di 1.700, di cui 1.100 solo nelle prime due settimane di luglio. Tutto questo in un Paese di nemmeno tre milioni di abitanti.
Come da copione, prima è arrivato l’allarme da parte del governo lituano al vertice dei leader UE di giugno, poi è stata registrata la prima crisi a inizio luglio e l’inizio delle attività di Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) e infine è arrivato l’annuncio della militarizzazione del confine tra Lituania e Bielorussia con una spesa di circa 41 milioni di euro. Ora si passa allo step successivo, la gestione dei richiedenti asilo che arrivano sul suolo comunitario.
Secondo la premier, Ingrida Šimonytė, la politica di detenzione impedirà ai migranti di “viaggiare illegalmente verso l’ovest più ricco dell’Unione”, ovvero “la destinazione preferita della stragrande maggioranza”. La ministra dell’Interno, Agnė Bilotaitė, ha precisato che questa legge vuole mandare un “messaggio a iracheni e altri migranti, che questo non è un percorso conveniente, le condizioni non saranno migliori“. Parole di ghiaccio, accompagnate dall’accusa che “non sono veri richiedenti asilo, ma uno strumento che il presidente Lukashenko vuole usare contro la Lituania”.
Ciò che lascia interdetti gli osservatori internazionali è il quasi annullamento dei diritti per le persone migranti (la cui provenienza è cambiata nelle ultime settimane, da Siria-Iraq-Iran a Repubblica del Congo, Gambia, Guinea, Mali e Senegal). La legge non solo vieta il rilascio dei migranti dalla detenzione per sei mesi dopo il loro arrivo – con le relative limitazioni sul diritto di appello al respingimento – ma rimuove anche il diritto all’assistenza da parte di un traduttore e ad ottenere informazioni sul proprio status e sullo stato di avanzamento della procedura di asilo (ammesso e non concesso che i richiedenti siano in grado di farlo, considerati tutti gli ostacoli).
Le autorità sono obbligate solo a garantire la sussistenza durante la detenzione, l’assistenza medica e legale. La premier Šimonytė ha promesso che il governo “cercherà di fare di più” e di fornire “tutto il supporto necessario”. In ogni caso, “se c’è un flusso improvviso in un breve lasso di tempo, potremmo non essere in grado di garantirlo” e per questo motivo “dovremmo avere un quadro giuridico“.
Bisogna ricordare che con grande probabilità questa legge viola non solo la Costituzione lituana, ma anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal momento in cui si basa sul presupposto che gli stranieri (non comunitari) che attraversano il confine lituano non sono titolari di diritti costituzionali. La pensa in questo modo anche la direttrice del programma della Croce Rossa lituana, Eglė Samuchovaitė: “La legge è una potenziale violazione dei diritti umani e non corrisponde alle direttive dell’Unione Europea”, ha spiegato a Reuters. “Cristallizza le attuali negative condizioni nei centri di detenzione lituani e lascia le persone vulnerabili in una situazione ancora più precaria”.