Roma – “Entro luglio il primo step della riforma della giustizia”. Il presidente del Consiglio lo aveva assicurato anche recentemente alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, quando a Roma è stato messo il sigillo di Bruxelles sul Piano di ripresa e resilienza italiano.
L’obiettivo richiesto da Bruxelles, confermato anche dall’ultimo report illustrato dal Commissario Didier Reynders, è ancora e sempre una drastica riduzione dei tempi dei processi, un ritardo che posiziona l’Italia in una delle ultime posizioni in classifica.
“Nelle raccomandazioni specifiche per Paese c’erano alcune osservazioni sul sistema della giustizia e dell’insolvenza in Italia – ha detto – e nel piano ci sono alcune riforme che vanno in tale direzione”. Reynders ha poi aggiunto che dalla Commissione “monitoreremo l’evoluzione, perché c’è un impegno a ridurre la durata dei procedimenti civili del 40% e del 25% di quelli penali, in cinque anni”.
L’esame in Consiglio dei ministri del primo pezzo della riforma predisposta dalla guardasigilli Marta Cartabia, che riguarda le modifiche al processo penale, è passato non senza fibrillazioni. La materia affronta un terreno minato, e non da oggi, e in questa occasione trovare gli equilibri non è facile con una maggioranza così eterogenea e pure tra i due attori principali, ovvero magistratura e avvocatura.
Come previsto il nodo della prescrizione è stato quello più complesso con il contrasto tra Forza Italia e il Movimento 5 Stelle, pronti a difendere la riforma dell’ex ministro Alfonso Bonafede. La mediazione passata prevede che i termini della prescrizione saranno corretti: resta sospesa fino al primo grado, poi i tempi ripartono fino a due anni per chiudere l’appello e un anno per la Cassazione. In deroga, oltre quelli per cui è previsto l’ergastolo, i reati per concussione, corruzione e alcuni altri contro la pubblica amministrazione per i quali i termini sono allungati a tre anni per l’appello e 18 mesi in Cassazione.
Il punto di caduta ha provocato inizialmente l’insoddisfazione delle due parti e a qual punto è stato necessario l’intervento deciso del premier Mario Draghi nel chiedere “lealtà a tutta la maggioranza” appellandosi al senso di responsabilità. “No alle mani libere, la riforma va approvata così com’è”, ricordando ancora una volta il legame stretto di questa e delle altre riforme con il PNRR. Dunque, stabilite le ultime limature, si va avanti e anche la ministra Cartabia rassicura: “Dobbiamo arrivare a un processo in cui tutti si riconoscono, dall’iscrizione nel registro degli indagati fino alla sentenza definitiva”.
Anche le altre concessioni rispetto al primo testo sono all’insegna dell’equilibrio. Limate le norme filtro con lo stralcio dell’inappellabilità dei pubblici ministeri e sarà più prudente anche l’atto d’indirizzo del Parlamento. Rimane la prerogativa di dare indicazioni sui reati da perseguire, ma lascia alle procure più libertà di decidere salvaguardando così anche il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Modifiche importanti arrivano anche per l’esecuzione della pena con un ulteriore estensione delle misure alternative al carcere e gli incentivi per i patteggiamenti. Tra queste la più innovativa riguarda le pene fino a 4 anni per le quali può essere concordata direttamente in sede processuale la detenzione domiciliare. A fine serata arriva il via libera senza nessun contrario anche se restano i mugugni e più di un dubbio sulla tenuta del M5S nel percorso parlamentare che comincerà tra due settimane.