Bruxelles – Porre fine alla rilocalizzazione delle emissioni di CO2 senza introdurre una misura protezionistica: missione difficile, ma non impossibile. Lo assicura il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans, intervenendo oggi (28 giugno) all’evento online ‘Rising to the Climate Challenge’ organizzato su Linkedin dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, a 16 giorni esatti dalla proposta di un nuovo meccanismo europeo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, meglio nota come tassa sulla CO2 alle frontiere esterne dell’Unione.
Le importazioni nette di beni e servizi nell’UE rappresentano oltre il 20 per cento delle emissioni interne di CO2 dell’Unione. La Commissione presenterà il 14 luglio un meccanismo per dare un prezzo al carbonio ad alcuni beni importati dai Paesi extra Ue per evitare che i settori più inquinanti dell’industria europea – costretti a sostenere i prezzi della transizione del Green Deal – non solo siano surclassate dai competitor internazionali ma siano anche portate a spostare la produzione (rilocalizzazione delle emissioni o carbon leakage) nei Paesi in cui ci sono norme sulle emissioni meno ambiziose o controlli meno stringenti, svantaggiando di fatto le imprese che invece continuano a produrre in UE. In questo modo c’è anche il rischio di vanificare i benefici ambientali del Green Deal, perché le emissioni vengono semplicemente spostate in un altro posto e non ridotte.
“C’è un modo di evitare la rilocalizzazione attraverso misure estremamente mirate in determinati settori dell’industria, anche se ci vorrà tempo per negoziarle” in UE tra le tre Istituzioni. Il meccanismo è previsto per il 2023, ma non sarà pienamente operativo prima del 2026. E in questo lasso di tempo, secondo il vicepresidente, “si stimoleranno anche i partner internazionali a cercare modi per evitare di essere presi di mira dalla misura e, quindi, saranno spinti ad adattare e cambiare anche le loro economie per andare nella stessa direzione”. Uno strumento diplomatico, in sostanza: “per incentivare i nostri partner internazionali ad andare nella stessa direzione”. Se gli altri attori globali non assumono politiche climatiche ambiziose come quelle di Bruxelles in termini di riduzione delle emissioni o di tasse per i settori che inquinano di più il rischio è quello di una distorsione della concorrenza e di sempre più frequenti tentativi di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Chiaro che se tutte le grandi economie inquinanti assumessero le stesse misure, non ci sarebbe bisogno di un meccanismo.
Le parole di Timmermans non sono casuali, se si pensa che all’evento era presente anche l’inviato speciale USA per il clima, John Kerry. La proposta è ancora in lavorazione e per l’UE non è semplice avanzarla perché c’è rischio che gli alleati del Continente – Stati Uniti in primis – non vedano di buon occhio questo strumento che rischia di penalizzarli. L’UE userà “il sistema di scambio di quote emissioni per fissare un prezzo al carbonio” in alcuni settori ma – propone Timmermans – “i nostri partner potrebbero usare metodi diversi: una regolamentazione, una tassazione, non importa quale misura si prende, l’importante è assicurarsi che si punta allo stesso obiettivo, ovvero arrivare alla neutralità climatica entro il 2050″. Detto ciò, Timmermans aggiunge che è “anche terribilmente complicato realizzarla una misura del genere, per renderla in linea con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), se vogliamo evitare di penalizzare i Paesi industrializzare”. Kerry non è stato di molte parole, non ha chiarito la posizione degli Stati Uniti: si è solo detto molto d’accordo sul fatto che “dobbiamo trovare un modo per premiare le persone che producono in modo sostenibile: non si può permettere a qualcuno di fare acciaio ad alta intensità di carbonio e svendere qualcuno che sta cercando di farlo in modo virtuoso”.
Sappiamo che l’appuntamento internazionale per discuterne sarà la COP26 di Glasgow, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre in Scozia sotto la presidenza britannica di Boris Johnson. Quest’anno l’appuntamento a Glasgow è particolarmente importante, si capirà se gli impegni politici dei governi mondiali saranno sostenuti anche da piani d’azione in grado di metterli in atto. Ogni cinque anni i firmatari dell’accordo di Parigi sul clima devono presentare le loro strategie per incontrare gli obiettivi dell’accordo. Avrebbero dovuto farlo entro il 2020, ma la pandemia ha costretto le Nazioni Unite a posticipare la COP26 al 2021. Secondo Kerry l’obiettivo, quest’anno, è quello di trovare un accordo con gli altri partner per tentare di circoscrivere sotto i 1,5° il surriscaldamento globale (attualmente è previsto uno sforzo per tenerlo sotto i 2°) ma anche sottoscrivere un impegno internazionale da realizzare nel prossimo decennio per ridurre le emissioni globali.