Bruxelles – Se non si può colpire l’Ungheria per le sue politiche in materia di omosessualità e diritti LGBT, allora si colpisca Budapest per la sua resistenza in materia di cooperazione giudiziaria ‘congelando’ il piano di ripresa finché non si sarà adeguata. La guerra europea contro Viktor Orban è aperta e sempre più aspra. Dopo un vertice dei leader che ha visto la richiesta di abbandono dell’UE, adesso sono i parlamentari del gruppo dei Liberali europei a chiedere di ricorrere alle maniere forti.
In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si chiede di “non approvare il piano di ripresa di Orban“. Il motivo? “Il regime di Orbán non riconosce la giurisdizione della Procura europea”, denunciano i parlamentari, che in questa denuncia riconoscono anche la natura non democratica dello Stato membro.
I liberali europei ricordano il rapporto dello stesso esecutivo comunitario e le raccomandazioni specifiche per il Paese. “La frode nell’Ungheria di Viktor Orbán è endemica, o per citare la Commissione, è ‘sistemica'”. Per questo si chiede di non approvare il piano di risanamento del governo ungherese “fino a quando non sarà messo in atto un efficace sistema antifrode in Ungheria“.
La Commissione conferma di aver ricevuto la lettera, ma il capo dei servizio dei portavoce, Eric Mamer, non entra nel merito. Assicura che nel processo di valutazione delle strategie nazionali si terrà conto anche dei meccanismi di controllo dei fondi, e che per il via libera serve “un sistema di controlli adeguato”.
A giudicare dalla risposta, sembra che i sette miliardi di euro del recovery fund possano essere slegati dai problemi pregressi e dalle richieste dei parlamentari liberali. Ma certo la situazione attorno all’Ungheria si è deteriorata come non mai.