Bruxelles – Sono giorni intensi a Bruxelles per le prospettive digitali dell’Unione Europea e degli Stati membri nel prossimo decennio, con la Commissione Europea impegnata a dare il via libera ai ventisette piani nazionali di ripresa e resilienza e ai loro obiettivi per la transizione digitale dell’economia e della società. Ma sono giorni intensi anche per Cristiano Radaelli, rieletto per il prossimo biennio nel board di DigitalEurope, l’organizzazione europea che rappresenta l’industria della tecnologia digitale.
Il vicepresidente di Anitec-Assinform (associazione italiana delle imprese delle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione e dell’elettronica di consumo, aderente a Confindustria) ha spiegato l’importanza di questo momento, sia per lo sviluppo di “strategie di alto livello da parte a Bruxelles”, ma soprattutto per “l’effettiva implementazione di questi piani che avviene nei Paesi membri”. Un processo che parte da “investimenti concreti, in tempi immediati”.
Vicepresidente, stiamo parlando di una questione che permea la vita di cittadini e imprenditori italiani, che spesso però si sentono distanti dalle istituzioni europee. Come fare perché questo non accada anche oggi?
“Culturalmente, dobbiamo essere tutti più proattivi. Dobbiamo essere in grado di sfruttare tempi e spazi in cui la Commissione Europea chiede di sentire le nostre opinioni, nel momento della presentazione delle proposte. Poi vorrei ribadire uno dei punti che hanno caratterizzato il mio programma elettorale: DigitalEurope svolge un ruolo importante verso l’esecutivo UE e come associazioni è nostro compito riportare la voce delle industrie, soprattutto le piccole e medie imprese. Possiamo costruire un vero legame tra le realtà sul territorio, i governi e le istituzioni europee”.
Qual è la priorità ora sul fronte digitale?
“Ci sono tanti dossier che potranno cambiare il volto dell’Europa, dal Digital Markets Act al Digital Services Act. E come rappresentanti delle associazioni di categoria spingiamo perché si operi in modo forte per implementare il Mercato Unico digitale. Altrimenti la vita per le imprese rimarrà complicata, a causa della frammentazione e delle differenze tra legislazioni nazionali”.
In questo senso, con il Mercato Unico digitale la Commissione punta a raggiungere giganti come gli Stati Uniti e la Cina nella competizione globale. Quali devono essere le prerogative europee per arrivare all’autonomia strategica?
“Sono due gli aspetti di cui si vede chiaramente l’esigenza. Il primo riguarda la responsabilità e la proprietà dei dati: il dato deve essere di proprietà di chi lo genera, che deve poter decidere chi lo vede e dove viene archiviato. Stiamo parlando sia di dati personali sia di dati aziendali, che rivestono una grande importanza sul fronte della privacy e della concorrenza”.
E il secondo?
“La portabilità dei dati. Con la diffusione dei servizi cloud c’è bisogno che il cliente possa decidere di trasferire dati da un cloud a un altro agevolmente. Dobbiamo riuscire a gestire in modo diverso il mondo dei dati e sviluppare applicazioni nei diversi settori – da quello agricolo a quello sanitario, fino al manifatturiero – che permettano la diffusione dell’utilizzo dei servizi cloud da parte delle PMI”.
Le viene in mente un esempio pratico?
“Per esempio il lancio degli hub regionali del progetto di cloud europeo Gaia X, appena annunciato per l’Italia dal vicepresidente di Confindustria, Luigi Gubitosi, e dal ministro per l’Innovazione, Vittorio Colao. Uno dei compiti principali di questi hub sarà quello di sviluppare casi d’uso nella gestione dei dati per le aziende del Paese, in un progetto europeo dove l’Italia è ben rappresentata, con circa 30 aziende iscritte e tre rappresentanti nel board”.
Soffermiamoci sull’Italia. Che competenze può portare in Europa e che sfide si presentano nella corsa digitale?
“Prima di tutto, serve un impegno forte di risalire nell’indice DESI [Indice dell’economia e della società digitali, monitora i progressi dei Paesi UE sulla competitività digitale, ndr]. Questo deve avvenire attraverso l’offerta di una maggiore semplicità di utilizzo dei servizi digitali per gli utenti. Ma è anche una questione di diffusione delle competenze, come dice il primo punto della Bussola Digitale 2030. Questa è una sfida doppia: i cittadini devono avere competenze digitali di base per operare nella società di oggi, ma servono anche professionisti con competenze elevate, che possano portare un valore aggiunto nel campo dell’intelligenza artificiale, della robotica, del calcolo a elevate prestazioni”.
Vede già segnali incoraggianti?
“A Bologna si sta realizzando un grande centro di high-performance computing, che permetterà tra qualche mese all’Unione Europea di passare dal quinto al terzo posto nel mondo per competitività in questo campo. È qualcosa di cui sicuramente possiamo essere orgogliosi, ma non è tutto lì: da una parte chiede forza lavoro specializzata, invogliando le persone a sviluppare nuove competenze, dall’altra offre un servizio necessario alle PMI che hanno necessità di operare con volumi di dati enormi”.
Per passare alla stretta attualità, la Commissione Europea due giorni fa ha dato il via libera al piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, che prevede il 25 per cento dei fondi destinato agli obiettivi digitali. Qual è la sua valutazione del piano?
“È sicuramente una valutazione positiva, ma come dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ora è importante fare investimenti concreti in tempi rapidi. Il piano nazionale di ripresa è la chiave per dare spinta al digitale in Italia e una delle sue più grandi forze è l’essere un tema trasversale: sono previsti investimenti non solo nell’infrastruttura, ma anche in tutti gli ambiti in cui la transizione digitale può avere un ruolo. Torniamo quindi al tema delle competenze e della necessità di riuscire a lanciare gli investimenti il più rapidamente possibile”.
Oltre ai finanziamenti serve anche un quadro complessivo per il futuro, che la Commissione ha fornito anche con la sua strategia per il decennio digitale. Quali punti deboli e quali punti di forza intravede all’alba del decennio digitale?
“I maggiori punti di forza riguardano senza dubbio l’ottica degli investimenti e la volontà di portare questo settore a una crescita importante, attraverso una visione strategica attenta sia ai cittadini, sia alle imprese, sia alla pubblica amministrazione. Come DigitalEurope vogliamo però stabilire degli indicatori-chiave di performance, perché questi investimenti e questa crescita possano essere misurati di anno in anno e possano dimostrare se i Paesi membri e l’Unione Europea nel suo complesso stanno raggiungendo gli obiettivi prefissati per il decennio digitale”.