Bruxelles – Tante le aspettative, ma anche tanti i dubbi di vederle disattese. Sabato 19 giugno ha preso il via la prima delle sei sessioni plenarie della Conferenza sul futuro dell’Europa che si terranno da qui a un anno per dar vita a uno spazio di discussione tra Istituzioni, società civile e cittadini su quali riforme sia più urgente attuare per preparare l’Europa al prossimo decennio. Salute, ripresa, transizione verde e digitale ma anche autonomia e meccanismo decisionale: la pandemia, come ogni crisi di vasta portata, impone una riflessione profonda su cosa poteva essere fatto meglio e su cosa fare per migliorarsi, soprattutto attraverso lo sguardo dei cittadini, che più di tutti vedono e subiscono i limiti del progetto europeo.
Se le Istituzioni intendono garantire che la Conferenza abbia risultati concreti, dovranno cadere diversi tabù. In primis, a undici anni di distanza dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, a cadere deve essere il tabù della riforma o di un aggiornamento dei Trattati su cui si fonda l’Unione Europea. Ne è convinto anche il vicepresidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo (M5S), che in un’intervista a Eunews ha approfondito la sua visione su questa Conferenza tanto discussa e tanto rimandata. Non escludendo che il processo di riforma passi per una cooperazione rafforzata tra chi di questa urgenza di riforma è più convinto.
Vicepresidente, un bilancio di questa prima sessione plenaria della Conferenza e delle modalità con cui è stata organizzata: era quello che il Parlamento europeo si aspettava quando si è iniziato a parlare di una conferenza per discutere del futuro dell’Europa?
“È troppo presto per tirare un bilancio, siamo solo all’inizio e questa plenaria è stata più che altro l’occasione per un primo dibattito ampio su quelle che possono considerarsi le priorità che ognuno di noi ritiene importanti. Come rappresentante del Parlamento europeo mi aspetto di vedere pieno coinvolgimento dei cittadini non solo nel dibattito, ma anche sulle conclusioni che saranno adottate. Mi aspetto che questo avvenga già dalla prossima plenaria (in programma a ottobre, ndr) visto che non è stato possibile nella riunione di sabato. Il Parlamento europeo deve prendere l’impegno di rendere vincolanti le conclusioni che verranno adottate: è l’unico modo per connettere democrazia rappresentativa e partecipativa e questo serve anche per contrastare il sentimento di distanza e frustrazione che è stato percepito negli anni nei confronti del progetto europeo. Siamo alle prime timide ma incoraggianti battute, ma il vero lavoro deve ancora arrivare e su questo vogliamo che si faccia la differenza rispetto al passato”.
Il fatto che la plenaria sia partita senza la componente dei rappresentanti dei panel dei cittadini non è un segnale negativo se la Conferenza nasce con l’intento di riconnettere politica e cittadini europei?
“Sicuramente lo è. Avrei voluto che ci fosse piena partecipazione fin dall’inizio, ma problemi logistici e organizzativi l’hanno reso impossibile. Spero che si possa recuperare molto rapidamente. Questa Conferenza assume un carattere simbolico molto importante perché per la prima volta abbiamo un processo di riforma non imposto dall’alto verso il basso, ma che va dal basso verso l’alto. Sappiamo che non è una impostazione condivisa: sia in Consiglio – spesso definito ‘l’organo della conservazione’ – sia anche in parte nella Commissione – dove persiste un approccio molto timido – c’è timore a dare uno spazio più centrale ai cittadini.
In molti vogliono una Conferenza che sia più una passerella mediatica che un momento di riflessione e anche di messa in discussione di una serie di punti che hanno caratterizzato il dibattito politico europeo in questi anni. Alcuni Stati considerano l’Unione Europea solo come un mercato unico, altri invece sostengono l’idea di un vero e proprio progetto politico e geopolitico. E io sostengo questa seconda impostazione, soprattutto come federalista europeo. Per noi la voce dei cittadini deve trovare spazio nelle conclusioni che la Conferenza adotterà e dovrà rendere vincolanti. Se manca questo, non ha senso dar vita a questo esercizio. Stavolta deve esserci la sensibilità di aprire le Istituzioni e renderle inclusive”.
Lei vede il rischio che possa essere solo un esercizio democratico fine a sé stesso – istituzioni che parlano di istituzioni – e in caso la Conferenza dovesse concludersi senza output concreti crede che potrebbe alimentare ancora più scetticismo in chi non ha fiducia nel progetto europeo?
“Il rischio potenzialmente c’è, considerate soprattutto le posizioni dentro al Consiglio. Qualche governo si aspetta o addirittura auspica che la Conferenza sia un puro esercizio di stile mediatico per coprire gli errori e crisi irrisolte di questi ultimi anni. La recessione, la crisi dei debiti sovrani, la questione migratoria, Brexit e la pandemia da Covid-19: tutte queste grandi emergenze, in buona parte ancora irrisolte, ci hanno portato ad affrontare i nodi e cercare di risolverli nella Conferenza. Se, invece, tutto diventa un esercizio politico tra addetti ai lavori, è chiaro che i cittadini si sentiranno presi in giro. Io resto convinto che la Conferenza non dovrà avere tabù, neanche nelle tempistiche di discussione e quindi non dovrà concludersi prima delle elezioni presidenziali francesi. Se un suo prolungamento dovesse servire a portare un risultato di spessore e di qualità allora ben venga una estensione dei lavori. Inoltre, la Conferenza non va limitata nemmeno nello scopo, ben vengano conclusioni che invitano a riformare anche i Trattati. Non dobbiamo avere paura delle sfide che abbiamo davanti a noi”.
Gli Stati nel Consiglio sono stati netti da subito nell’opporsi a questa eventualità. Secondo Lei, c’è la possibilità che la Conferenza sia il luogo adatto per rimettere in discussione i Trattati?
“Sappiamo che il Consiglio non lo sosterrà perché è diviso. Dovranno dunque essere il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali a prendere a cuore la richiesta dei cittadini, in quanto rappresentanti diretti dei cittadini europei. È assurdo precludersi la possibilità di sperimentare qualcosa di nuovo. Da cittadino non capirei perché non posso proporre una riforma dei trattati largamente condivisa e invece limitarmi solo a una sterile discussione. Non sono ingenuo, so che ci sono governi che lavorano per far saltare questo tentativo di riforma, ma dobbiamo avere l’apertura mentale e la laicità per dare spazio a un dibattito più libero e genuino possibile. Poi si tireranno le somme delle posizioni espresse dai cittadini e ci dovremo impegnare per rispettarle”.
E se continueranno a opporsi?
“Se alcuni governi cercheranno di ostacolare questo processo ne prenderemo atto e, a quel punto, da una riforma condivisa potremmo pensare a una cooperazione rafforzata tra i Paesi favorevoli. L’importante è che quei governi e quelle forze politiche che si impegnano ad andare avanti, poi non usino la scusa dell’opposizione di qualche Stato per non mettere in campo queste proposte. Non facciamoci paralizzare dalla minaccia di Orban (il primo ministro ungherese, ndr) e Kaczynski (leader della destra populista polacca, ndr): l’Europa può e deve essere un grande soggetto geopolitico, ma per esserlo deve avere gli strumenti necessari, anche superando alcuni ostacoli, come il voto all’unanimità al Consiglio in materia di politica estera. Bisogna affrontare la Conferenza con una mentalità aperta ed evitare che il Consiglio blocchi ogni iniziativa per la sua logica intergovernativa, basata sull’unanimità”.
Non c’è solo il blocco del voto all’unanimità in seno al Consiglio da superare. Quali sono le riforme più urgenti che dovrebbero arrivare da questa Conferenza?
“È fondamentale affrontare il nodo della governance economica e fiscale. La pandemia ci ha fatto comprendere che abbiamo un’unione monetaria ma economicamente incompleta e fiscalmente quasi inesistente. Con il Next Generation EU (il fondo per la ripresa da 750 miliardi di euro, ndr) abbiamo rotto il tabù di non avere un debito comune, ma per quanto innovativo nel principio, il NGEU ha il difetto di non essere un debito strutturale ma solo una tantum. Invece, per vincere le grandi sfide di questo secolo (sovranità tecnologica, inclusione, Green Deal), l’Europa deve dotarsi di un bilancio federale, un nuovo modo per finanziarlo e di reperire le risorse da investire nei grandi programmi europei come Horizon Europe. Un bilancio più solido aiuterebbe anche a creare nuovi fondi per gli investimenti delle aziende strategiche e far sì così che l’Europa recuperi, con una operazione di reshoring, competenze e produzioni che sono fondamentali per la sua resilienza.
Poi, bisogna superare il voto all’unanimità in politica estera e riservare maggiori fondi alla nostra azione esterna sullo scenario internazionale, specialmente con l’Africa. Ma anche rivedere il Fiscal Compact, che ha dimostrato di essere espressione di regole superate dalla storia che non portano crescita ma aumentano le disuguaglianze. Quindi è necessario rivederlo con maggiore flessibilità, torno a proporre una Golden rule europea per scorporare gli investimenti pubblici (dal calcolo del deficit, ndr) per quanto riguarda il green, il digitale ma anche la cultura, l’istruzione e le infrastrutture strategiche. Questi sono punti imprescindibili, ma come europarlamentare un’altra riforma che vorrei fosse discussa è l’introduzione del pieno diritto di iniziativa legislativa per il Parlamento europeo come avviene in molti parlamenti democraticamente eletti. Per superare finalmente il monopolio dell’iniziativa legislativa in capo alla Commissione Europea”.
Nel corso dei lavori di sabato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha proposto il lancio di una complementare “Conferenza dei giovani”, aperta ai Paesi del Mediterraneo e anche dei Balcani occidentali. E’ il modo dell’Italia per tenere acceso il dibattito sull’allargamento?
“Sono molto contento che il ministro Di Maio abbia fatto propria la proposta di inclusione dei Balcani Occidentali. Anche io ho raccolto in una lettera la firma di molti colleghi europarlamentari di vari gruppi politici per chiedere il loro pieno coinvolgimento nella Conferenza, in totale parità con gli Stati europei. Gli Stati balcanici non devono essere considerati Paesi terzi ma devono essere trattati come futuri Stati membri. È bene che ci sia un’azione congiunta tanto dal Parlamento quanto dal Consiglio e personalmente credo che sia necessario essere ancora più ambiziosi, e puntare al coinvolgimento dei Balcani Occidentali come osservatori permanenti in tutti gli spazi di discussione e di lavoro organizzati all’interno della nostra Conferenza. Nella lettera, inviata ai Co-presidenti e gli altri Membri dell’Executive Board della Conferenza, c’era anche la proposta di un forum specifico per la politica di allargamento, che non solo deve essere rivitalizzata ma deve anche vedere protagonisti gli Stati membri dell’Unione che troppo spesso hanno fatto prevalere logiche elettorali di breve periodo rispetto all’interesse di includere quanto prima i Balcani Occidentali che sono cuore pulsante dell’UE. Perché senza di essi la nostra Europa non sarà mai veramente completa”.