Bruxelles – Si apre un nuovo capitolo nella saga Brexit e questa volta al centro della contesa potrebbe entrare uno dei tradizionali strumenti di soft power: film e serie tv. Secondo un documento a cui il quotidiano The Guardian ha avuto accesso, l’Unione Europea starebbe facendo tutti i preparativi per un’azione contro la quantità “sproporzionata” di contenuti cinematografici britannici diffusi sul territorio comunitario attraverso le piattaforme di video on demand (VoD), come Netflix e Amazon Prime Video.
Il documento intitolato La presenza sproporzionata di contenuti del Regno Unito nella quota VoD europea e gli effetti sulla circolazione e la promozione di diverse opere europee, sarebbe stato presentato al Comitato dei rappresentati permanenti lo scorso 8 giugno, per mettere sul tavolo la questione della definizione di programmi, serie tv e film britannici come “opere europee”, anche dopo l’uscita di Londra dall’Unione.
A questo proposito, non si tratterebbe di una “guerra dei media”, come l’hanno definita alcuni organi di stampa (soprattutto britannici), ma di un possibile adeguamento di un settore economico alle conseguenze della Brexit. Una fonte all’interno del Consiglio Europeo ha confermato che c’è stata una discussione nel gruppo di lavoro sugli audiovisivi riguardo la presenza di contenuti britannici sulle piattaforme on demand all’indomani della Brexit. Lo stessa fonte ha però sottolineato che si è trattato solo di uno scambio di opinioni e che non è nella natura di queste discussioni arrivare a una conclusione o una posizione del Consiglio.
Secondo la direttiva sui servizi di media audiovisivi, esiste una quota minima del 30 per cento di “opere europee” che deve essere rispettata nei cataloghi delle piattaforme di video on demand (i Paesi membri UE possono anche essere più stringenti, come la Francia che ha raddoppiato la quota minima). Tuttavia, come precisato da un portavoce della Commissione Europea, “la recente revisione della direttiva non ha modificato la definizione di opere europee” e questo significa che per il momento i titoli britannici in catalogo sono ancora da considerarsi come tali.
La stessa Commissione Europea, stando al documento trapelato, sarebbe però stata incaricata di avviare uno studio di impatto sul rischio per l’UE derivante dalla “diversità culturale” della programmazione britannica. Su questo punto il portavoce non ha voluto commentare, ma ha ricordato che l’esecutivo UE “lavorerà alla relazione European Media Outlook per esplorare le tendenze dei media, dai progressi tecnologici ai modelli emergenti di produzione e consumo”, come annunciato nell’ambito del piano d’azione per i media e gli audiovisivi.
Inevitabilmente, il danno maggiore ricadrebbe sull’industria cinematografica del Regno Unito, uno dei più grandi produttori di contenuti del Vecchio Continente. La perdita di quote di mercato UE colpirebbe in particolare il genere del dramma storico, tra cui spiccano serie tv come Downton Abbey e The Crown, dal momento in cui la prevendita dei diritti internazionali ha spesso costituito la percentuale maggiore di budget per l’inizio della produzione. In termini pratici, si tratta di 490 milioni di sterline (circa 570 milioni di euro) nella stagione 2019-2020 solo dai canali e piattaforme europee, che hanno reso l’Unione il secondo mercato più grande dopo gli Stati Uniti per gli studios britannici.