Bruxelles – Completare l’Unione bancaria non è cosa da poco, è un dossier complesso, e di conseguenza “è un processo grande e lungo, che richiederà ancora del tempo“, probabilmente “ancora degli anni”. Chi ha modo di poter lavorare al dossier non nasconde le difficoltà, tecniche e politiche, che si intrecciano tra loro in una matassa che tutti intendono districare ma che richiederà ancora molti sforzi e riunioni prima di poter essere sciolta. La pandemia, con le sue ricadute economico-finanziarie, ha sicuramente accresciuto il senso di necessità di un progetto che però risulta fermo.
Ci sono ragioni elettorali. A settembre i tedeschi sono chiamati a rinnovare il Bundestag, che dovrà eleggere il nuovo cancelliere, e questo appuntamento politico incide. Berlino vorrebbe congelare i lavori e sembra esserci riusciti. Dal punto di vista squisitamente partitico, sarà un momento di svolta per l’Europa tutta. La cancelliera tedesca Angela Merkel si ritirerà dalla scena politica, e il suo partito, la CDU, dovrà fare i conti con un periodo post-Merkel pieno di incognite, oltre che di sfide. C’è una buona parte dell’opinione pubblica tedesca che non vede di buon occhio il procedere oltre con l’Unione bancaria alle attuali condizioni, e nella CDU non si vuole correre il rischio di portare alle urne elettori scontenti con tutto ciò che potrebbe derivarne.
E’ soprattutto lo schema europeo di garanzia dei depositi (EDIS) a generare malumori e mal di pancia nella repubblica federale. L’EDIS risale al 2015 ed è uno dei pilastri su cui poggia il progetto di unione bancaria. Non è altro che un fondo di garanzia europeo a tutela dell’Eurozona, da usare in caso di una crisi bancaria. Gli Stati dovrebbero mettere soldi per questo cuscinetto. Il nodo è che a Berlino più di qualcuno ritiene che le banche italiane siano ancora troppo piene di crediti deteriorati, prestiti cioè che si fa fatica a farsi restituire. Il timore è che i soldi dei contribuenti tedeschi finiscano per salvare le banche italiane.
E’ sopratutto un braccio di ferro tra Roma e Berlino quello che si consuma. L’Italia vorrebbe fare passi avanti, la Germania – che non è sola, ma guida il fronte degli “attenti al denaro”, i soliti noti (Paesi Bassi, Finlandia e Austria) – vorrebbe farlo non appena l’Italia ha messo in maggiore sicurezza il proprio sistema creditizio. Ma la questione è più complessa di così. E’ un po’ la tradizionale divisione nord-sud Europa che si sta ripresentando, con i nordici che non si fidano dello stato di salute delle banche dei Paesi meridionali e non vogliono trovarsi a dover salvare le banche altrui coi soldi propri.
La storia non è nuova, è anzi la stessa di sempre. Il dualismo riduzione del rischio-condivisione del rischio che si ripete. Da una parte il nord Europa che invita il sud a ridurre criticità facendo sapere che altrimenti si andrà avanti, dall’altra parte il sud che esorta a muoversi ora che i progressi sono stati fatti. Perché la Commissione ha certificato che i crediti deteriorati sono stati ridotti e che quindi i governi hanno fatto la loro parte, ma poi è arrivato il Coronavirus che ha annullato i progressi compiuti. Insomma, un dossier estremamente complicato dal punto di vista tecnico e sensibile dal punto di vista politico.
Gli Stati membri però non vogliono mollare. Non possono, dato che farlo vorrebbe dire addio all’intero progetto di unione bancaria. Ma trovare una sintesi appare più complicato del previsto. L’argomento sarà oggetto della riunione dell’Eurogruppo nel formato allargato a 27, questo giovedì (17 giugno), ma non sono attese decisioni. In sintesi, “la questione non è se si saprà approvare un piano di lavoro, ma quando”, spiegano a Bruxelles.
La Germania temporeggia, e questo in prospettiva può rappresentare un problema. Per evitare di perdere consensi adesso si frena sul dossier, ma un eventuale governo di coalizione potrebbe rallentare la macchina ancora di più poiché la CDU non avrebbe piena capacità di manovra.
A Bruxelles si assicura che passi avanti ne sono stati fatti, ma l’impressione appare diversa. Forse i tavoli tecnici hanno davvero fatto passi avanti, ma le trattative politiche ristagnano o comunque producono poco. A poco è servita la proposta della Commissione di un mercato per i crediti deteriorati. L’intenzione era risolvere allo stesso tempo la questione dei rischi bancari e i ritardi sull’EDIS. Ma gli Stati sono ancora lì che litigano.