Per ottenere dei risultati bisogna darsi da fare, sempre, per qualsiasi obiettivo ed in qualsiasi contesto. Ancor più se si è in un contesto collettivo, se il raggiungimento dell’obiettivo non dipende solo da noi, ma anche da altre persone, enti, fattori da considerare, con i quali collaborare, trovare una mediazione magari.
Questo è il caso del processo decisionale nell’Unione Europea: ci sono la Commissione, il Parlamento, i governi degli Stati, che tutti insieme concorrono nella definizione di praticamente tutte le regole comuni. Non esiste insomma che una cosa succeda senza che tutti sappiano che sta per accadere: troppi sono gli attori coinvolti, che devono tutti rispettare delle regole che impongono il coinvolgimento loro e di ciascuno degli altri.
In Italia questo concetto, in apparenza semplice, sembra sconosciuto, o meglio, probabilmente è volutamente ignorato. Sarà perché i governi cambiano spesso, dunque una cosa iniziata con uno finisce con quello dopo, o con quello dopo ancora. Forse perché l’ignoranza su cosa vuol dire far parte dell’Unione è più diffusa di quanto si possa credere. Forse perché c’è sempre qualche partito, associazione (politica, di categoria, professionale) che preferisce scaricare sull’UE le responsabilità che dell’UE non sono. Forse perché nella nostra mentalità c’è sempre il “tanto poi ci pensiamo, ne parliamo con il sottosegretario, con l’assessore, o con chi sia e aggiustiamo”.
Ecco, non è così che funziona, non è così che l’economia italiana può continuare ad andare avanti (e non solo quella, ovviamente).
Da qualche giorno riflettiamo sull’ultimo “scandalo” europeo denunciato da più parti in Italia: la direttiva sulla plastica monouso.
Questa direttiva esiste dal 2018, da oltre due anni. Ha richiesto molto lavoro, se ne parlò tanto sui giornali (anche sul nostro) eppure, quando ne è stata ricordata l’entrata in vigore il prossimo 3 luglio, in Italia è scoppiato il finimondo, con accuse all’Unione di aver preso una decisione improvvisa, senza informare nessuno.
Bugie, vere e proprie bugie in malafede, perché tante di queste accuse sono venute anche da forze politiche che hanno avuto responsabilità di governo, o che erano presenti nel Parlamento europeo al momento del voto, e che dunque ben sapevano cosa sarebbe accaduto il 3 luglio. Come lo sapevano anche gli imprenditori, se le loro associazioni di settore servono a qualcosa. Ma forse no.
La direttiva sulla plastica è passata per le mani di governi italiani che poi hanno espresso il loro parere all’interno del Consiglio, è passata per le mani di decine di parlamentari europei italiani che hanno espresso il loro voto, è stata scrutinata a suo tempo, dalle associazioni di settore, se ne è parlato su tutti i giornali italiani. Eppure continuiamo a prenderci in giro facendo finta di nulla. Per avere uno spazio politico di polemica, per far credere a qualche categoria che si è vicini a loro (quando invece, per anni e anche nel presente li si ignora, raccontando loro menzogne). Anche per coprire le proprie inefficienze nel prepararsi al nuovo regime del settore
Verrebbe da dire che l’Italia non è ancora matura per giocare in un consesso più grande, nella serie “A” dell’economia europea (e non solo in quella, perché gli stessi atteggiamenti sono presenti in ogni settore).
Ora c’è la sfida del Recovery. A quanto pare il governo Draghi ha realizzato un buon piano. Speriamo che tutti se lo siano letto, anche quelli che l’hanno sostenuto in Parlamento, e che non succeda che tra un paio d’anni qualcuno si alzi per dire che l’economia circolare strozza qualche categoria. Speriamo che questa vicenda del Recovery ci permetta di avere la promozione.