Bruxelles – Un’azione condivisa a livello europeo su immigrazione e asilo, mettendo da parte dibattiti politicizzati spesso tossici che prendono piede negli Stati membri quando si parla di politica dei flussi migratori. E’ quanto si chiede durante la Conferenza di alto livello che riunisce parlamentari di tutta Europa che si è svolta oggi (14 giugno) per trovare un terreno comune per un sistema europeo di asilo e migrazione sostenibile. La seconda da quando la pandemia da COVID è scoppiata (la prima si era svolta a novembre). Organizzata dal Parlamento europeo e dal Bundestag tedesco, in collaborazione con i parlamenti portoghese e sloveno e la Commissione europea, la conferenza ha preso il via questa mattina per discutere l’impatto della pandemia di COVID-19 e la dimensione esterna delle politiche in materia di asilo e migrazione e fa da premessa alla più ampia discussione che i capi di stato e governo dei Ventisette avranno al prossimo summit europeo del 24 e 25 giugno.
Dimensione esterna, frontiere e solidarietà interna: il nuovo patto sull’immigrazione e l’asilo proposto a settembre dalla Commissione UE su cui si concentrano le discussioni si fonda su questi tre pilastri. Ma oggi lo sguardo delle Istituzioni europee è rivolto, in particolare, alla dimensione esterna del fenomeno migratorio, convinti che sia proprio l’assenza di un quadro europeo ad alimentare gli arrivi irregolari in Europa.
“Solo alzando lo sguardo sull’instabilità, le crisi, la povertà, le violazioni dei diritti umani che si verificano oltre le nostre frontiere, potremo aggredire le cause che spingono milioni di persone a prendere la decisione di partire”, ha esordito il presidente dell’Eurocamera, David Sassoli, aprendo i lavori della conferenza sottolineando che la pandemia di Covid-19 “sta avendo un profondo impatto sui modelli migratori a livello locale e mondiale e un effetto moltiplicatore sul movimento forzato di persone nel mondo, soprattutto dove l’accesso alle cure e alla sanità non è garantito”. Ma quanto avviene impone all’Europa una riflessione su un’azione comune “un meccanismo dell’Unione europea nel Mediterraneo che salvi vite e tolga terreno ai trafficanti”, ricorda Sassoli. “Occorre un meccanismo europeo di ricerca e salvataggio in mare, che utilizzi le competenze di tutti gli attori coinvolti, dagli Stati membri alla società civile alle agenzie europee”. Un’idea già avanzata da Sassoli in precedenza, basata sull’idea il “nostro dovere sia innanzitutto salvare vite umane”, senza lasciare il carico solo alle organizzazioni non governative che lavora in mare.
Andare oltre il sistema di Dublino, ma per un approccio comune alla politica migratoria serve intanto superare le divisioni interne. “Serve un cambio di paradigma, un approccio olistico”, sottolinea il vicepresidente della Commissione Europea, Margaritis Schinas, pronunciando il discorso di apertura della Conferenza di alto livello. Per una politica migratoria e una risposta efficace alle crisi migratorie “serve un’azione europea condivisa, obiettivi condivisi che devono andare oltre ai dibattiti politici che spesso assumono toni tossici e miopi, basati sulla retorica dell’isolazionismo”, negli Stati membri. Consolidare la partnership con Paesi extra UE è una parte centrale del Patto perché nell’ottica della Commissione aiuterà ad affrontare sfide condivise come il traffico di migranti, e a sviluppare vie legali di ingresso in UE, favorendo anche l’attuazione dei rimpatri. Attualmente solo un terzo di chi non ha legalmente il diritto di trovarsi in territorio europeo, se ne va, e nel 2019 gli arrivi irregolari in Europa erano 140mila. Per Schinas è proprio l’assenza di un quadro comune europeo che alimenta gli arrivi irregolari. Da qui il monito agli Stati a siglare “il patto quanto prima, indipendente dai dibattiti politici”.
L’importanza di un accordo sul patto della Commissione è riconosciuto anche dall’attuale presidenza di turno del Portogallo, dalla futura di Slovenia e dalla passata di Germania. “Molto importante che si arrivi ad un accordo sul patto e sul diritto all’asilo”, ha ricordato il presidente dell’Assemblea della Repubblica portoghese, Eduardo Ferro Rodrigues, durante il suo intervento. Lisbona è attualmente presidente di turno dell’UE fino alla fine di giungo, e sulla sua presidenza gravava il peso di provare a trovare un compromesso tra i ministri europei sul patto. Anche se di passi in avanti positivi se ne sono registrati pochi. Secondo Rodrigues, nonostante le difficoltà che ha causato la pandemia, la “mobilità umana se ben gestita può aiutare anche dopo la pandemia”.
La crisi “ha aggravato le questioni migratoria”, ha sottolineato anche Igor Zorčič, presidente dell’Assemblea Nazionale di Slovenia. Il punto è che le restrizioni dovute al COVID hanno bloccato anche “i canali legali” usate per trasferirsi in Europa, lasciando spazio solo a mezzi illegali e pericolosi per le vite umana, come la traversata del Mediterraneo. Come futura presidenza dell’UE dal primo luglio, “sosteniamo un approccio globale basato sui partenariati con i Paesi di origine e di transito la politica migratoria deve integrarsi con la crescita e stabilità di questi paesi di origine”. Da Zorcic arriva la promessa che continueremo a occuparci di questo patto, una delle sfide più importanti per l’UE”, sottolinea dicendosi ottimista grazie ad alcuni progressi che ha osservato nei giorni scorsi. “Dobbiamo fare di più, il patto è necessario”, ha avvertito anche il presidente del Bundestag tedesco, Wolfgang Schäuble. “Non possiamo chiudere un occhio sulla sofferenza di chi sceglie di migrare, né creare falsi incentivi, dobbiamo contrastare le pratiche criminali di chi favorisce l’immigrazione clandestina”. Nonostante il monito dei Parlamenti europei, molto dipenderà da come andrà il prossimo vertice europeo di fine giugno, in cui è previsto un ampio dibattito politico sul tema per dare modo ai ministri di lavorare sul patto a livello tecnico.