Bruxelles – Dopo quindici mesi di assenza a causa della pandemia da COVID, oggi (7 giugno) il Parlamento europeo torna a riunirsi nella sede alsaziana di Strasburgo, quella propriamente dedicata a ospitare le sessioni plenarie. Un ritorno alla “normalità”, o quasi. Perché di normalità ancora non si può parlare neanche riguardo ai lavori parlamentari: è previsto che prenderà parte fisicamente un numero molto limitato di persone, tra deputati e addetti ai lavori, a causa delle misure restrittive ai viaggi tra Francia e Belgio.
Chi andrà dovrà sia rispettare il coprifuoco francese sia mettersi in quarantena al suo ritorno in Belgio. Non certo un ritorno agevole, che scoraggia una parte dell’emiciclo ad andare. Ma il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha ceduto infine alle pressioni della Francia e di Emmanuel Macron, che da mesi spinge per far tornare l’Aula a Strasburgo. L’Eliseo si appella alle ragioni dei Trattati (nel Trattato sull’Unione europea viene stabilito che la sede ufficiale e della maggior parte delle sue sessioni plenarie è proprio la città francese dell’Alsazia, mentre le commissioni parlamentari si riuniscono a Bruxelles e il Segretariato del Parlamento ha i propri uffici a Lussemburgo) e alla “storia” del Parlamento europeo. Ma le ragioni sono anche più elementari e riguardano il fatto che lo spostamento non solo dei 705 europarlamentari, ma anche degli assistenti accreditati e pure del personale dell’istituzione sia fonte di grandi entrate economiche per il Paese, tra pernottamenti, cene e altro dei funzionari che sono costretti a spostarsi. Si conteggiano circa 3.000 persone che in totale si spostano nella città francese ad ogni seduta.
Sassoli va oltre le polemiche. “Riprendere la nostra attività normale a Strasburgo è un segno di fiducia e di speranza per tutti”, dice il presidente del Parlamento europeo aprendo i lavori d’Aula. “Oggi, Strasburgo torna ad essere un simbolo di ripartenza“.
Per molti, invece, non è altro che uno spreco di tempo e soprattutto di soldi. Il fatto che per oltre un anno le sedute dell’Europarlamento si siano tenute a Bruxelles e non a Strasburgo riapre un dibattito sempre acceso su se sia davvero necessario per il Parlamento europeo avere non due ma ben tre sedi istituzionali in altrettanti Paesi dell’UE (Belgio, Francia e Lussemburgo). Gli ultimi dati della Corte dei Conti di Lussemburgo – risalenti al 2014, non ce ne sono di più recenti – mostrano che si potrebbero risparmiare su base annuale 114 milioni di euro con il solo trasferimento delle attività da Strasburgo a Bruxelles, a cui si potrebbe aggiungere un risparmio una tantum di 616 milioni di euro qualora si riuscisse a dismettere gli immobili di Strasburgo. Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha riconosciuto che si tratta di una cifra cospicua, ma che in realtà corrisponde solo a meno del 6 per cento del bilancio dell’Europarlamento o all’1 per cento del bilancio amministrativo europeo.
Praticamente una differenza irrisoria avere o non avere più di una sede, ma è un messaggio sbagliato che nelle mani degli euro-critici si trasforma in altro: scarsa attenzione ai soldi dei contribuenti che finiscono nel Bilancio europeo ma anche preoccupazione per l’impatto ambientale degli spostamenti mensili tra Francia e Belgio. Sebbene non ci siano studi ufficiali per quantificare le emissioni derivanti dalla spola mensile di oltre mille persone, è anche un’argomentazione di chi cerca di imbarazzare un Parlamento europeo e in generale una Unione Europea sempre più attenta a parole alla questione ambientale.
L’ultima sessione plenaria che si è svolta a Strasburgo risale al febbraio 2020, per il resto l’Europarlamento si è trasferito formalmente a Bruxelles anche se buona parte dei deputati ha partecipato e votato per via telematica. Per la sessione di dicembre (14-17 dicembre), solo il presidente Sassoli era tornato a Strasburgo per aprire i lavori dell’Aula e “rassicurare” Macron sul fatto che il Parlamento sarebbe presto tornato in Francia. E così è stato.