Roma – La sentenza non ha rispettato “la vita privata e intima della vittima”, contiene dei “commenti ingiustificati” e un “linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana”. Questi i passaggi più significativi della decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che ha condannato l’Italia, accordando alla vittima un risarcimento per danni morali di 12 mila euro.
Il caso riguarda una sentenza della Corte d’appello di Firenze del 2015 che assolse 7 imputati accusati di uno stupro di gruppo avvenuto nella Fortezza da Basso nel 2008. In primo grado erano stati condannati a quattro anni e mezzo per violenza sessuale ma poi vennero assolti in appello. In quel caso i giudici scrissero della vicenda “incresciosa e non encomiabile per nessuno, ma penalmente non censurabile”, mentre la ‘presunta’ vittima voleva “rimuovere” quello che riteneva essere stato un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”.
Su questi contenuti e non sulle assoluzioni, il ricorso presentato dalla ragazza che ha chiesto alla Corte di Strasburgo di esprimersi sulle motivazioni della sentenza, violando la sua vita privata e discriminandola.
La Corte “ha riconosciuto che la dignità della ricorrente è stata calpestata dall’autorità giudiziaria” ha detto all’agenzia Ansa Titti Carrano, l’avvocata che ha assistito la ragazza. “La sentenza della Corte d’appello di Firenze ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando cosi la violenza: purtroppo questo non è l’unico caso in cui la non credibilità della donna si basa sulla vivisezione della sua vita personale e sessuale” rendendola vittima una seconda volta.