Bruxelles – In pratica sembra essere una questione di ciliegie: la Svizzera vorrebbe scegliere quali cogliere, invece si ritroverà lì a vederle cadere marce.
Questo pomeriggio (26 maggio) il Consiglio Federale della Confederazione elvetica ha deciso di rompere le trattative con l’Unione europea che erano tese (da sette anni) a trovare un’intesa su un “Accordo istituzionale” che adeguasse “dinamicamente” gli accordi tra le due parti per l’accesso al Mercato Unico europeo, che attualmente sono invece cristallizzati in un centinaio di intese nate tra 50 e 20 anni fa, e che dunque stanno rapidamente invecchiando.
Le ciliegie, dicevamo. Un noto detto britannico definisce come “cherry piking” il tentativo di fare un accordo nel quale si tenta di prendere solo le cose più convenienti per la propria parte. Di questo l’Unione europea accusa la Svizzera, che dopo sette anni di negoziati ha bloccato la trattativa su tre temi: gli aiuti di Stato, la libera circolazione delle persone, protezione dei salari. “I colloqui hanno consentito di migliorare la comprensione reciproca delle rispettive posizioni, che sono tuttavia rimaste distanti in termini di contenuto”, è scritto nella nota del Consiglio Federale nella quale si annuncia la rottura delle trattative, auspicando comunque una generica “ripresa del dialogo”.
E qui vengono le ciliegie marce. La Commissione non ha potuto che “prendere atto” della decisione svizzera, ma un alta fonte brussellese coinvolta nel negoziato ha spiegato che già da oggi ci saranno forti problemi per la Confederazione, poiché le intese bilaterali sono appunto vecchie “e ci saranno problemi immediati, come ad esempio sui dispositivi medici, che fino ad oggi la Svizzera poteva esportare nell’Unione con un trattamento di assoluto favore, poiché bastava la certificazione loro per poterli mettere in commercio. Da oggi sono entrate in vigore le nuove regole sulla commercializzazione di questi prodotti nel Mercato Unico, e la Confederazione semplicemente non potrà più esportare verso i 27 con le vecchie norme. Altri problemi immediati – ha continuato la fonte – ci saranno nel settore agricolo, ed anche sul tema della protezione dei dati da oggi dovremo avre un occhio diverso”.
Perché qui era un po’ il cuore della proposta dell’Unione: arrivare ad un allineamento “dinamico” delle regole, che permettesse agli accordi vecchi di decenni di procedere al passo con le nuove regole che nel tempo l’Unione si darà.
Anche per la Svizzera, come fu per la Gran Bretagna c’è poi un problema sulla competenza della Corte di Giustizia UE a giudicare su questa materia, “ma per noi non è una scelta – sottolinea la fonte – la Corte europea è l’unica che può giudicare sulle norme europee, è un obbligo legale dal quale non possiamo prescindere”.
Con questa decisione di Berna resta dunque ferma anche la collaborazione nella ricerca, anche perché dal 2013 la Svizzera non paga più le sue quote per la politica di coesione “e dunque nessuna collaborazione è possibile – spiega la fonte -. Nel Bilancio pluriennale dell’Unione avevamo previsito dei capitoli di spesa su questo, ma senza un Accordo istituzionale come pre-requisito tutto è bloccato”.
Ora l’Unione rifletterà sul da farsi, ma certo, spiegano alla Commissione “se non si arriverà ad una nuova intesa la Svizzera non avrà nuovi accessi al Mercato interno UE, mentre nel frattempo i vecchi accordi si indeboliranno, perché noi evolviamo”.
Du questa situazione sfavorevole alla Confederazione sembrano coscienti i Cantoni, che in una nota congiunta affermano di aver “sempre sostenuto la necessità di un accordo con l’UE come garanzia di una relazione duratura e stabile con il nostro vicino diretto e partner economico più importante”. Secondo i governi cantonali l’approccio bilaterale deve continuare ad essere perseguito anche se i negoziati sono falliti, e “le conseguenze di questo fallimento e le questioni in sospeso nelle relazioni con l’UE dovrebbero venir chiarite il più presto possibile”. Anche l’organizzazione Economiesuisse (che rappresenta più di 100.000 aziende) non è felice di questo stop: “Spetta ora al Consiglio federale stabilizzare il percorso bilaterale e minimizzare i danni”, si legge in una nota, nella quale sottoolinea che la via bilaterale “deve quindi rimanere l’obiettivo prioritario della politica economica estera elvetica. A tal fine, dopo il fallimento dell’accordo istituzionale, in una prima fase è necessario stabilizzare gli accordi esistenti e minimizzare i danni”.
La Svizzera è il quarto partner commerciale dell’UE dopo Cina, Stati Uniti e Regno Unito. Accoglie il 6,9 per cento delle esportazioni dell’Unione e rappresenta il 5,7 per cento delle sue importazioni, il che corrisponde a scambi per circa un miliardo di euro al giorno. Per la Svizzera l’UE è il primo partner commerciale: rappresenta il 42 per cento delle esportazioni e il 50 per cento delle importazioni elvetiche.