Bruxelles – Adelante, con juicio. Si potrebbe prendere in prestito la celebre citazione dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni per commentare la posizione del Parlamento UE sullo stato di avanzamento del Montenegro lungo il cammino europeo. In plenaria, la relazione sul rapporto 2019/2020 della Commissione UE, presentata da Tonino Picula (S&D), è stata approvata con 595 voti a favore, 66 contrari e 34 astenuti, ma ciò che è emerso con chiarezza è un duplice sentimento nei confronti di Podgorica. Da una parte, la soddisfazione per i progressi sulle riforme e lo Stato di diritto, che ha portato il Paese a essere quello “più avanzato sulla strada dell’accesso all’Unione”. Dall’altra, le preoccupazioni per la situazione finanziaria e l’indebitamento con la Cina. Tutte questioni di cui Bruxelles deve tenere conto, se vuole che il Montenegro diventi nel prossimo futuro il ventottesimo Paese membro UE.
“Questo dibattito arriva nel contesto della prima transizione di potere negli ultimi 30 anni”, ha introdotto la discussione il relatore, spiegando gli effetti del risultato delle elezioni parlamentari del 30 agosto dello scorso anno. Quasi nove mesi complessi per il Paese, senza un dialogo interno, dal momento in cui “il massimo partito di opposizione [il Partito Democratico dei Socialisti, ndr] non vuole partecipare ai lavori in Parlamento” e perché “la coabitazione tra il presidente, Milo Đukanović, e il premier, Zdravko Krivokapić, non è costruttiva né in linea con la Costituzione”. In più, “da sei mesi si attende il voto sulla legge di bilancio per l’anno in corso e questo crea ulteriori pressioni politiche”, ha commentato Picula.
Se ci sono punti su cui deve essere implementato lo sforzo del Paese per superare i blocchi politici, è altrettanto vero che non mancano gli aspettavi positivi. Il relatore del gruppo S&D ha ricordato che “il Montenegro ha aperto tutti capitoli negoziali per l’accesso all’UE e ne ha chiusi tre” e che ora la “massima sfida” è portarli tutti a compimento, anche grazie alla nuova metodologia di adesione di Serbia e Montenegro approvata la scorsa settimana. “I progressi sui sei cluster tematici dipenderanno dai progressi sullo Stato di diritto e sul sistema giudiziario, ovvero i capitoli 23 e 24“, accompagnati da un forte impegno per “difendere chi lotta contro la criminalità organizzata”, “proteggere l’indipendenza dei media” e “risolvere il problema delle minoranze non rappresentate nell’attuale Parlamento”.
È stato lo stesso relatore a lanciare però l’allarme sulle “importanti conseguenze politiche” degli investimenti della Cina nel Paese: “Dobbiamo aiutare il nostro partner nel dialogo con le istituzioni finanziarie internazionali”. Le preoccupazioni per l’Unione Europea non sono di poco conto e, quantificate, ammontano a 809 milioni di euro di debito che Podgorica deve ripagare a Pechino. Il finanziamento era stato richiesto nel 2014 per la costruzione di un’autostrada che dovrebbe attraversare il Paese, dal porto montenegrino di Antivari (Bar) alla località di Boljare, e che al momento non è ancora stata completata. Secondo quanto riporta il Financial Times, se il debito non dovesse essere ripagato entro luglio, la Cina avrebbe il diritto di acquisire il controllo di parte del territorio montenegrino, verosimilmente uno sbocco sul Mediterraneo. Ed è su questo punto che si è concentrato il dibattito in plenaria.
Il confronto tra gli eurodeputati
A sollevare la questione del debito del Montenegro è stato Thomas Waitz (Verdi/ALE), che ha esortato la Commissione e il Consiglio a “trovare una soluzione, perché il Paese non sia venduto alla Cina“, proprio nel momento in cui “la sua strada europeista è stata tracciata”. L’europarlamentare del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento UE, Fabio Massimo Castaldo, ha rincarato la dose, impostando tutto il suo intervento sulla questione: “Questo caso è il sintomo di come il processo di adesione possa avvitarsi su sé stesso”, dal momento in cui “la classe politica montenegrina precedente aveva deciso di inoltrarsi in questo sentiero pericoloso e azzardato, nonostante i moniti della BEI”. Tuttavia, secondo l’europarlamentare italiano, il Montenegro non deve essere lasciato solo, perché “oggi una leva politica ci chiede aiuto per superare le scelte prese da chi aveva tornaconti personali” e “non possiamo permettere che un possibile futuro Stato membro diventi un avamposto di una potenza terza nel cuore dell’Europa”.
Preoccupate anche le destre europee, sia sulle diramazioni cinesi in Montenegro, sia sulla credibilità del Paese. “La questione degli investimenti e del debito pone dubbi sulla sua trasparenza“, ha sottolineato Dominique Bilde (ID), che ha calcato la mano sulle “ambiguità delle autorità montenegrine verso la comunità internazionale riguardo all’adesione alla Belt and Road Initiative” e sul fatto che “quando si trovano in difficoltà chiedono aiuto all’Unione”. Secondo Zdzisław Krasnodębski (ECR), l’UE sta correndo il “rischio di alzare l’asticella troppo in alto, dobbiamo essere realistici sulle vere possibilità di adesione”.
Più cauti gli altri gruppi politici, a partire dal PPE: “Da questa relazione, vediamo che è il Paese balcanico in stato più avanzato, anche se deve rafforzarsi sulla riconciliazione con gli Stati vicini e migliorare l’inclusione delle minoranze etniche”, ha affermato Željana Zovko. Sul fronte S&D, Petra Kammerevert ha posto l’accento sul fatto che “si possono constatare miglioramenti continui, anche se dobbiamo rimanere vigili”. Anche per Klemen Grošelj (Renew Europe) “la sfida dei prestiti cinesi dimostra che non ci sono soluzioni facili sulla questione del debito“, ma “focalizzarsi sulla strada dei finanziamenti europei può essere la soluzione per allineare il Paese agli obiettivi del Green Deal e della digitalizzazione”.
La posizione di Commissione e Consiglio
Da parte della Commissione UE è arrivato un messaggio di supporto al Montenegro, in atto e da ricevere. A livello finanziario, il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, non prende nemmeno in considerazione la possibilità che Bruxelles vada a ripagare di tasca propria il debito che Podgorica ha con Pechino (nonostante le richieste di aiuto ricevute il mese scorso). Ma allo stesso tempo ha voluto ribadire con forza che “l’Unione Europea è il massimo fornitore di assistenza economica, il principale investitore e partner commerciale“.
Lo dimostra il fatto che sia stato già approvato uno schema di aiuti macro-finanziari da 60 milioni di euro, “di cui entro fine maggio arriverà la seconda tranche da 30 milioni”. In più, il 6 ottobre dello scorso anno è stato messo in campo il Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro, che “ha il potenziale per rendere i Balcani più attraenti per gli investimenti, rafforzare le infrastrutture e creare posti di lavoro in ogni Stato balcanico”. Per fornire questo sostegno, il commissario ha chiesto il sostegno del Parlamento: “Deve arrivare il prima possibile un accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III, spero già nel trilogo a giugno”.
Ma il commissario Varhelyi ha anche rivendicato i primi successi europei nei Balcani sul fronte dei vaccini anti-COVID: “Durante il dibattito di marzo avevo anticipato che stavamo lavorando sul supporto alla regione, ora vi aggiorno sul fatto che sono iniziate le spedizioni delle 651 mila dosi Pfizer/BioNTech“. Gli eurodeputati sono stati informati sui progressi nella campagna di vaccinazione nei sei Paesi balcanici grazie all’iniziativa europea (con tranche settimanali da maggio ad agosto) e al meccanismo COVAX, oltre agli aiuti di emergenza e ai fondi per mitigare la crisi socio-economica: “Vogliamo fare in modo che tutti gli operatori sanitari e i gruppi vulnerabili siano vaccinati quanto prima”, ha concluso il commissario. Complessivamente, in Montenegro arriveranno circa 126 mila dosi (42 mila dall’UE e 84 mila da COVAX), su oltre un milione e 500 mila in tutta la regione (651 mila dall’UE e 951 mila da COVAX).