Bruxelles – L’inflazione aumenta, ma potrebbe non essere una buona notizia. Ad aprile l’indice del costo della vita è cresciuto dello 0,3% sia nell’UE sia nell’area euro rispetto a marzo, e adesso l’inflazione nell’Unione raggiunge quota 2% mentre a Eurolandia l’1,3%. A guidare l’impennata dei prezzi al consumo soprattutto energia (+0,96 punti percentuali), servizi (+0,37), cibo, alcol e tabacco (+0,16) e beni industriali non energetici (+0,12).
La situazione resta eterogenea, con alcuni Paesi al di sotto della media. E’ il caso dell’Italia, unica tra le principali economie dell’eurozona a fermarsi a quota 1%, ma con un aumento mensile più marcato delle media (+0,4 punti percentuali invece che +0,3 come a livello UE e area euro). Ma ci sono ben 12 Paesi ad aver superato la soglia del 2%, ritenuta il parametro di riferimento ottimale per l’inflazione.
I dati Eurostat si limitano a fotografare la situazione, senza entrare nel merito della portata di dati dalle diverse implicazioni dei numeri. Innanzitutto c’è la ricaduta sui consumi. Un aumento dei prezzi determina sempre una riduzione del potere d’acquisto. Se si aggiunge che ci si trova ancora in una fase di assestamento, con persone ancora in disoccupazione o salario ridotto, si rischia un contraccolpo sui consumi e, dunque, una nuova crisi per la domanda interna. Le ultime previsioni economiche della Commissione europea prevedono un aumento del tasso di disoccupazione sia nell’UE (+0,5%) sia nell’eurozona (+0,6%) per la fine di quest’anno, e questo non aiuta.
C’è da considerare “l’effetto lockdown” in questo. Dopo mesi di chiusura forzata e prolungata molti esercenti stanno scaricando sul consumatore finale i mancati ricavi. Un rincaro dei listini è ‘naturale’ e si spiega con il bisogno di cominciare a rientrare delle perdite e riprendere a fare utili quanto prima. Una pratica ‘tollerata’ da una domanda comunque esistente di gente desiderosa di ritorno alla normalità.
Ma l’aumento dell’inflazione porta con sé rischi, come detto. Un altro di questi rischi può essere, in prospettiva, la chiusura del rubinetto della BCE e lo stop alle misure di sostegno. Non sarà immediato, poiché il tasso di inflazione dell’area euro ancora non è prossimo ai parametri di riferimento dell’Eurotower, ma in prospettiva si rischia di dover fare a meno dei benefici di politiche monetarie accomodanti. La Banca centrale europea ha come compito principale quello di garantire la stabilità dei prezzi. Lo raggiungere perseguendo un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2%. Perché questo? Come spiega la stessa istituzione dell’UE, con un tasso prossimo al 2% “resta un margine per possibili differenze fra i tassi di inflazione nei vari paesi dell’area, che nel corso del tempo dovrebbero finire per annullarsi in media fra loro”.
Nel momento in cui l’obiettivo dichiarato della BCE dovesse essere raggiunto, verrebbero meno anche i motivi di scelte accomodanti. Questo non riguarda solo il programma di acquisto pandemico, ma i tassi. Questo è un problema che riguarda l’Italia da vicino. Un aumento generalizzato dell’inflazione ad un certo punto porterà la Banca centrale europea ad aumentare i tassi, fin qui invariati. Questo vuol dire un aumento degli interessi da pagare sul debito pubblico.
La ripresa dell’economia cinese e le politiche di stimolo annunciato dalla Casa Bianca avranno come effetto quello di rilanciare produzione e consumi a livello globale, e dunque anche l’UE con la sua moneta unica di fatto ‘importerà’ il conseguente aumento del costo della vita. Ma per qualcuno questo rischia di diventare insostenibile.
Nell’UE al momento non ci si preoccupa più di tanto. Le previsioni economiche della Commissione prevedono un rallentamento dell’inflazione nel prossimo anno. “L’inflazione raggiungerà il picco nel 2021 su fattori transitori, prima di moderarsi nel 2022″. Insomma, tutto sembra essere sotto controllo. Niente panico, ma certo l’inflazione va tenuta sotto controllo.