Roma -Milo, Sicilia, estremo sud dell’Europa. Franco Battiato è morto nel suo eremo a 76 anni. Europa era una parola strana per uno che ha vissuto una vita artistica senza confini, così che ne cantava i germi del passato, le radici culturali: dalla Libia alla Mesopotamia in una Prospettiva Nevskij e in mezzo il Mare nostrum attraversato dai suoi sogni più veloci di aquile.
Europa che diventa Eurasia e fa danzare da Venezia a Istanbul, da Damasco a Tozeur, una patria musicale altro che “povera”, culla delle sonorità colte, che furono le basi irrinunciabili della sua produzione.
Un percorso lunghissimo ed eclettico, dalle avanguardie milanesi degli anni ’70 insieme a Juri Camisasca, passando per i grandi successi della Voce del Padrone, Cuccurucucù paloma, Centro di Gravità permanente quando il genio fece ballare, inconsapevoli o no, anche coloro contro cui puntava il dito. Finì a cantare l’amore nelle diverse facce, La Cura e le cover romanticheggianti, anche se fu innamorato solo una volta a sedici anni, la passione “è una zavorra che ti tira giù”, diceva. Artista multiplo e non solo cantautore, Franco Battiato ha diretto tre film, due documentari, è stato attore e pure pittore ma i quadri li ha solo regalati e mai venduti.
Se gli fu cara l’Europa della cultura e dei popoli, fu molto più sospettoso dell’Europa politica ed economica pure se quei giudizi, ammetteva, erano da non competente. Ed è così che l’incontro con le istituzioni di Bruxelles fu in pratica Come un cammello in una grondaia, intruso e incompreso, occasione di una polemica violentissima per l’invettiva contro “un parlamento di troie”. Si riferiva all’Italia, volgare iperbole di “politici venduti, uomini e donne” come spiegò dopo ma la classe politica tutta si offese a morte. Da Roma partì l’ordine, “miserabile” disse lui, di lasciare vuote le poltrone del concerto della capitale belga, intimando la diserzione anche ai diplomatici.
Pescando nel suo ermetismo, concentrato di filosofia pop, superò con agilità l’incidente mediatico, nonostante l’interruzione della breve carriera politica da assessore alla cultura della regione siciliana. Non ne fece un dramma, tipo “peggio per voi”, proseguendo nella sua ricerca di elevazione spirituale attraverso la musica, sacra ma non nel senso propriamente religioso, piuttosto strumento di ascesi e ricerca dell’altrove da quisquilie quotidiane. Superava tutto. Ora anche questo distacco già immaginato e scritto cinque anni fa nel suo libro ‘Lo stadio intermedio’: “La morte non è la fine ma un passaggio e trasformazione”.