Bruxelles – È gelido il vento che soffia a nord del Vallo di Adriano sulle speranze del premier britannico, Boris Johnson, di tenere a bada le istanze indipendentiste della Scozia. Con 64 seggi conquistati su 129 in palio, il Partito Nazionale Scozzese (SNP) della prima ministra, Nicola Sturgeon, ha trionfato alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Holyrood e ora punta all’obiettivo di indire un nuovo referendum per la separazione del Paese dal Regno Unito.
Gli scozzesi si sono recati alle urne durante il Super Thursday (giovedì 6 maggio), la grande giornata elettorale che ha coinvolto anche i gallesi – per il Parlamento – e gli inglesi – per le elezioni locali. Il partito nazionalista della premier Sturgeon partiva da una base di 62 seggi, conquistati alle legislative del maggio 2016 (un deputato è uscito dal partito durante la legislatura). Ma già alla vigilia del voto era chiara l’intenzione di puntare al pesce grosso: la maggioranza assoluta (65 seggi), per rendere incontestabile la richiesta a Londra di un secondo referendum, dopo quello del 2014 fallito con l’opposizione del 55 per cento degli elettori.
Nonostante l’obiettivo sia sfumato per un soffio, anche solo con in mano un primato rafforzato la prima ministra si è opposta all’idea che la Scozia non possa tornare a esprimersi: “Non c’è alcuna giustificazione democratica per Boris Johnson per tentare di bloccare il diritto del popolo scozzese di decidere il proprio avvenire”, ha commentato il risultato ai media britannici. “A qualsiasi politico a Westminster che voglia mettersi di traverso, dico due cose: primo, non andate allo scontro con l’SNP, secondo, non riuscirete a contrastare i desideri democratici del popolo”, ha aggiunto, sottolineando che “senza alcun dubbio in Parlamento c’è una maggioranza pro-indipendenza“.
Una dichiarazione che incontra le prospettive dei Verdi scozzesi, che hanno conquistato 8 seggi (+6 rispetto alle elezioni del 2016). La co-leader, Lorna Slater, ha già reso nota l’intenzione di sostenere un nuovo referendum, anche se gli indipendentisti non sono riusciti a conquistare la maggioranza assoluta: “È un processo democratico. Che Paese saremmo se lo ignorassimo?” Grazie alla stampella dei Verdi, le forze a favore dell’indipendenza raggiungerebbero così i 72 seggi, contro i 57 contrari: 31 conservatori (allineati al risultato del 2016, ma si confermano seconda forza nel Paese), 22 laburisti (-2) e 4 liberal-democratici (-1).
A pesare sulla volontà di far tornare gli elettori scozzesi a pronunciarsi su questo tema è la variabile Brexit, condizione che invece non sussisteva sette anni fa. Il governo di Edimburgo, fortemente europeista (almeno da quando è diventata reale l’uscita del Regno Unito dall’UE), ha protestato con forza contro Downing Street per le condizioni imposte all’economia e alla società scozzese da una scelta non condivisa a Holyrood. Il 23 giugno del 2016, solo il 38 per cento degli scozzesi aveva votato Leave, nella scelta se rimanere o abbandonare l’Unione Europea (nel Regno Unito, complessivamente era stato il 51,9). Quel referendum storico ha ricordato ai cittadini a nord del Vallo che rappresentano solo l’8 per cento della popolazione britannica e che possono essere facilmente messi in minoranza dai vicini meridionali. L’esclusione dal programma Erasmus+, imposta dalla decisione del governo Johnson durante i negoziati Brexit, ha dato il colpo di grazia.
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