Bruxelles – Per molti Paesi dell’Europa e dell’Asia Cetrale ormai la democrazia non è più “il traguardo sperato”. L’edizione 2021 del rapporto “Nations in transit” pubblicato dall’osservatorio di Freedom House, che verifica lo stato del processo democratico in 29 Paesi ex comunisti dell’area euroasiatica, mostra per il diciassettesimo anno consecutivo (cioè dal 2005, anno in cui lo studio è stato pubblicato per la prima volta) un indice in peggioramento.
In tutta la regione, si legge nel rapporto, ci si sta sempre più allontanando dalla democrazia. In alcuni Paesi si è verificata una battuta d’arresto, in altri la ripresa c’è, ma è parziale. In totale, nel 2020, anno di pandemia che ha messo alla prova la tenuta delle democrazie in tutto il mondo, 18 Paesi hanno subito hanno subito un calo nel loro punteggio, in cinque Paesi la situazione è rimasta stabile, e solo in altri sei è stato notato un miglioramento. Ed è in Europa che la democrazia sta perdendo maggiormente le sue tracce.
Su due Paesi in particolare si sofferma l’Organizzazione Non Governativa Freedom House. “La Polonia e l’Ungheria spiccano per il loro declino democratico senza precedenti”, si legge nella relazione. Nel 2020 l’Ungheria ha registrato il più grande calo nell’indice democratico mai rilevato da Nations in Transit, record che rischia di precipitare nella schiera dei regimi ibridi (chiamati così perché in essi convivono elementi delle democrazie e caratteristiche dei regimi autoritari). “La Polonia invece resta una democrazia semiconsolidata“, spiega Freedom House, “ma la sua decadenza negli ultimi anni è stata più marcata di quella vissuta in Ungheria”.
Secondo l’ONG Budapest e Varsavia si sono imitate a vicenda nelle scelte fatte in molti campi (dall’indipendenza dei giudici alla libertà di espressione nei mezzi di informazione, fino al campo dei diritti delle minoranze). Sarebbe un tratto comune a molte crisi democratiche degli ultimi anni, sostiene Freedom House. A vent’anni dalla caduta dei regimi comunisti “molti leader continuano a riempirsi la bocca con il modello democratico, ma nel corso dell’ultimo decennio l’idea della democrazia come punto di arrivo ha cominciato a perdere valore in molte capitali”, continua il testo dell’indagine.
Ma le pratiche illiberali adottate da Ungheria e Polonia sono state di ispirazione anche per altri governi in Europa. Il modello di concentrazione dei mezzi di informazione sperimentato a Budapest è stato replicato anche a Belgrado dal presidente della Serbia Aleksandar Vučić. In Slovenia il primo ministro Janez Janša ha incrementato gli attacchi contro i giornalisti. Quando si parla invece di diritti delle persone LGBT+ il punto di riferimento, soprattutto per il primo ministro ungherese Viktor Orbán, sono il governo polacco e le sue iniziative contro “l’ideologia gender”. Per Nations in Transit “l’obiettivo dei partiti di governo in Ungheria e Polonia è legittimare le loro pratiche antidemocratiche”. Questo avviene anche sfidando il meccanismo UE per il rafforzamento dello stato di diritto, rispetto al quale i due governi “affermano l’inesistenza di una definizione concordata”.
Quanto ai progressi, il rapporto ammette che “il 2020 non è stato un buon anno per le riforme”. Al confine con l’Unione Europea gli sforzi dei governi di Ucraina e Moldavia si scontrano con le resistenze di altre istituzioni come la magistratura e il parlamento. In molti Paesi balcanici si parla del ritorno di alcune “conquiste democratiche”, soprattutto quando si guarda al Montenegro e al Kosovo. Ma come spiega lo studio, “non è chiaro se porteranno a un miglioramento delle istituzioni democratiche”.