Bruxelles – Come uno tsunami diplomatico, il “sofagate” di Ankara sta aumentando sempre più la sua portata, ogni ora che passa. All’incontro ufficiale di martedì (6 aprile) con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è vista negare una sedia accanto a Erdogan, a differenza del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Ma se inizialmente le critiche si sono riversate tutte contro il leader turco – primo responsabile di una scena riconosciuta come umiliante per von der Leyen e per i valori europei che rappresenta – nell’occhio del ciclone ora è entrato il presidente del Consiglio UE, che come scrivevamo ieri non ha mosso un dito per mostrare la propria solidarietà. E c’è il forte sospetto che non ne uscirà a breve.
È il Parlamento Europeo a lanciare gli attacchi più pesanti. I presidenti dei gruppi del Partito Popolare Europeo e dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici hanno chiesto un dibattito in plenaria alla presenza di Michel e von der Leyen, per chiarire le dinamiche dell’incidente e tutelare l’immagine dell’Unione fuori dai suoi confini. “La visita ad Ankara avrebbe dovuto rappresentare un messaggio di fermezza e unità dell’approccio europeo alla Turchia”, ha denunciato Manfred Weber, presidente del gruppo PPE. “Purtroppo si è tradotta in un simbolo di disunione, poiché i presidenti non sono riusciti a stare insieme quando era necessario”. Ancora più decisa la presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez: “Le relazioni UE-Turchia sono cruciali. Ma l’unità dell’Unione Europea e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle donne, sono altrettanto fondamentali”, ha scritto su Twitter, allegando la richiesta di dibattito nella sessione plenaria del 26-29 aprile.
Tra tutti, è la delegazione italiana dei socialdemocratici a mostrarsi più battagliera. Le europarlamentari in quota PD, Alessandra Moretti e Patrizia Toia, si sono appellate direttamente alla presidente García Pérez perché si faccia “promotrice di un’iniziativa di censura” nei confronti di Michel, considerata la “palese inadeguatezza” del presidente del Consiglio UE . “Ha supinamente accettato la vergognosa scelta di Erdogan e del protocollo turco di escludere la presidente [von der Leyen, ndr] dal contesto che le spettava”, hanno argomentato le due eurodeputate, “lanciando così un chiaro messaggio a tutte le donne turche ed europee“.
La collega di partito Pina Picierno si è spinta oltre, suggerendo che Michel “dovrebbe dimettersi e non solo per questioni di garbo istituzionale”. Intanto [Aggiornamento del 9 aprile] il suo compagno di gruppo Massimiliano Smeriglio ha già raccolto 21 firme di parlamentari di vari gruppi per chiedere che l’ex premier belga si dimetta.
Attacchi simili sono arrivati anche dal Movimento 5 Stelle. “Quello che imbarazza davvero è il silenzio del presidente Michel”, ha dichiarato l’europarlamentare Dino Giarrusso. “È stata persa l’occasione per prendere una posizione netta”.
L’eco delle proteste degli eurodeputati italiani è arrivata fino a Roma, dove il Partito Democratico questa mattina ha lasciato una sedia vuota al centro dell’emiciclo di Montecitorio, come simbolo della gravità dell’episodio accaduto ad Ankara. La promotrice dell’iniziativa, Beatrice Lorenzin, ha sottolineato che “offendere von der Leyen significa offendere l’Unione Europea e quello che essa rappresenta sul tema dei diritti umani e delle donne”.
Dal canto suo, il presidente del Consiglio Europeo ha cercato di smarcarsi dall’ondata di critiche, affidando a un post su Facebook la sua versione dei fatti: “Le poche immagini che sono state mostrate hanno dato l’impressione che sia stato insensibile alla situazione. Niente è più lontano dalla realtà, né dai miei sentimenti profondi. Né, infine, dai principi di rispetto che mi sembrano essenziali“. Secondo Michel, “in quel momento, pur percependo la natura deplorevole della situazione, abbiamo scelto di non peggiorarla con un incidente pubblico“, lasciando intendere che i due leader europei si siano trovati d’accordo a “privilegiare in questo inizio di riunione la sostanza della discussione politica che stavamo per iniziare con i nostri ospiti”.
Versione confermata oggi anche dal portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer: “C’è stato un incidente, ma l’atteggiamento della presidente von der Leyen è stato quello di continuare la riunione per fare passare il messaggio europeo“, ha cercato di gettare acqua sul fuoco durante il punto quotidiano con la stampa. “In termini di trattamento protocollare i presidenti di Commissione e del Consiglio sono trattati nello stesso modo”, ha aggiunto Mamer, ma “analizzeremo l’accaduto perché non accada più“. Che questo possa trasformare uno tsunami diplomatico in un’onda passeggera saranno solo l’opinione pubblica e gli eurodeputati a deciderlo.
Da quanto si apprende dalla segreteria generale del Consiglio UE, all’incontro preparatorio di lunedì (5 aprile) non era presente il servizio di protocollo della Commissione Europea. Nel corso della “breve visita dei locali”, il servizio di protocollo del Consiglio non è comunque riuscito ad avere accesso alla sala riunioni e alla sala da pranzo, perché “ritenute troppo vicine all’ufficio del presidente Erdogan”. In caso contrario, “avremmo suggerito ai nostri ospiti di sostituire, a titolo di cortesia, il divano con due poltrone“, ha fatto sapere il capo della sezione Protocollo, Dominique Marro.
In un imbarazzante gioco di sedie, un altro sgarbo alla presidente von der Leyen sarebbe stato sventato proprio dai diplomatici europei, in occasione del pranzo con il presidente turco. Pochi istanti prima dell’ingresso dei leader nella sala da pranzo “abbiamo fatto riallineare le dimensioni delle tre sedie, a vantaggio della presidente della Commissione”. A von der Leyen era stata preparata una sedia più piccola alla destra di Michel, come se fosse parte dello staff del presidente del Consiglio UE e non la rappresentante di un’istituzione europea. Non solo, sarebbe stato Michel a suggerire di includere la presidente von der Leyen nella foto di rito.
In generale, il protocollo per i Paesi terzi distingue tra lo status di capo di Stato, detenuto dal presidente del Consiglio Europeo, e lo status di primo ministro, detenuto dal presidente della Commissione: “Questa potrebbe essere l’origine del problema”, ha concluso Marro.