Bruxelles – Un bilancio fatto di progressi e contraccolpi. Mercoledì 7 aprile 2021 la Convenzione di Istanbul per la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica compirà dieci anni dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa. Nel suo primo decennio di vita 34 Paesi l’hanno ratificata, esprimendo la loro condanna per la violenza di genere e impegnandosi ad adottare misure concrete al fine di contrastarla.
Per l’Unione Europea si tratta di un’occasione utile per verificare lo stato dell’applicazione della Convenzione al netto dell’impatto provocato sulla violenza di genere dalla pandemia di COVID-19. Attualmente 6 Paesi UE non hanno ancora ratificato il trattato, ma allo stesso tempo in molti Stati dell’Unione negli ultimi mesi sono stati presi provvedimenti per impedire che le misure di contenimento dell’epidemia favorissero un’impennata degli episodi di violenza domestica.
“Questo il motivo per cui occorre rafforzare i principi della Convenzione piuttosto che celebrarne semplicemente i dieci anni di vita”, ha raccomandato la ministra portoghese Mariana Vieira da Silva, intervenuta in rappresentanza della presidenza portoghese del Consiglio UE durante un evento dedicato all’anniversario della Convenzione. “Tutti gli Stati membri sono alle prese con il contrasto alla violenza sulle donne e la questione è diventata ancora più urgente con le misure imposte dal coronavirus. Proteggere è la priorità più assoluta, l’Europa deve essere uno spazio dove le ragazze e le donne, siano libere di realizzare liberamente il loto progetto di vita”, ha dichiarato ricordando l’impegno per la causa formalizzato in una dichiarazione congiunta dal trio di Stati composto oltre al Portogallo anche da Germania e Slovenia che sta presiedendo i lavori del Consiglio dei ministri dell’UE.
Preoccupano i dati, che seppur limitati, offrono un quadro generale del fenomeno. Nell’Unione Europea una donna su tre in media ha subito una violenza domestica o una violenza sessuale (o entrambe) e una su venti è stata vittima di stupro. Ma i dati non sono completi perché solo il 6 per cento degli episodi di violenza sessuale è denunciato. “La necessità degli strumenti della Convenzione è più importante che mai”, ha affermato in un messaggio rilasciato durante la conferenza online sui dieci anni dell’accordo di Istanbul la commissaria per l’Uguaglianza Helena Dalli richiamando in causa le disposizioni del quarto capitolo della Convenzione, che si concentra sulle azioni di prevenzione e di protezione richieste agli stati firmatari. “Quello che celebriamo è più di un insieme di norme. La Convenzione di Istanbul ha dato alle donne un’ancora di salvataggio, permettendo loro di avere accesso a dei rifugi anti-violenza, a linee di assistenza telefonica, a servizi di supporto specialistico, a un’assistenza legale. La violenza non è mai un fatto privato, ma un atto criminale che non deve mai restare impunito”.
Il trattato spegne le dieci candeline tra ottimismo e minacce. “L’interesse per la Convenzione sta crescendo. Il Kazakistan e la Tunisia, che non fanno parte del Consiglio d’Europa, si sono dichiarati entusiasti all’invito al prendere parte al trattato e in Kosovo si parla di emendare la Costituzione per allinearsi alle disposizioni della Convenzione”, ha affermato Marceline Naudi, presidente del GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence), il gruppo di esperti che sovrintende l’applicazione della Convenzione di Istanbul. “Apprezziamo anche i passi in avanti fatti dalla Svezia, che definendo la violenza sessuale non solo in base all’aggressione fisica, ma in virtù della mancanza del consenso nel rapporto, ha incoraggiato a denunciare gli episodi di stupro”.
Controbilanciano i buoni propositi i comportamenti contrastanti di alcuni Paesi firmatari. La Turchia, dove il trattato è stato firmato, ha palesato l’intenzione di sfilarsi dalla Convenzione, e nell’Unione Europea la Polonia ha avviato l’iter per ritirare la sua firma definendo le norme contrarie ai valori tradizionali e qualificandole dannose perché promuoverebbero l’ideologia LGBT+. “Dobbiamo avere il coraggio di applicare sanzioni finanziarie e di usare il meccanismo europeo sullo stato di diritto”, ha aggiunto Evelyn Regner, presidente della commissione del Parlamento europeo per la protezione dei diritti delle donne. “E soprattutto, occorre rendere la violenza di genere un crimine europeo”, ha detto l’europarlamentare accennando alla proposta che la Commissione lancerà a tal proposito entro fine anno.